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Maria Antonietta La Torre

Spesa sanitaria e salute delle donne

(pubblicato su “Noi donne”, marzo 2013, pp.8-9)

L’introduzione del parto indolore tra i LEA (Livelli essenziali di assistenza), a più di dieci anni di distanza dal documento del Comitato Nazionale di Bioetica dal titolo "La terapia del dolore: orientamenti bioetici", che forniva elementi e sollecitazioni in tale direzione, ha riaperto il dibattito su quali servizi la sanità pubblica debba garantire. Il documento del Dipartimento della qualità, Direzione generale della programmazione sanitaria, dei livelli di Assistenza e dei principi etici di sistema, sul “Controllo del dolore durante il travaglio ed il parto vaginale tramite procedure Analgesiche”, tuttavia, precisa che “le Regioni perseguiranno l’obiettivo di assicurare una risposta alla richiesta del controllo del dolore durante il travaglio ed il parto in tutte le strutture di ricovero con oltre 1200 parti /anno mentre, ove tali strutture non fossero presenti, si opererà in modo che vi siano una o più strutture che possano assicurare una risposta adeguata.” E riconosce che “Appare del tutto evidente che per realizzare il programma è necessario un incremento di attività da parte della figura del medico della disciplina Anestesia e Rianimazione che si traduce in un aumento del fabbisogno in ore di tali professionisti. E’ altrettanto noto che nel Paese sussiste una complessiva grave carenza di Anestesisti-rianimatori all’interno del SSN e che è altrettanto scarso il numero di specialisti nella disciplina che aspirano ad entrare nel mondo del lavoro.” In effetti, dunque, non è garantito che realmente tutte le donne potranno usufruire del servizio, sia a causa della limitata disponibilità delle risorse delle sanità regionali, sia per le carenze croniche di organico di anestesisti in grado di svolgere la procedura.
Ora, appare evidente che aumentano le preoccupazioni sul futuro della medicina e dell’assistenza sanitaria in relazione all’invecchiamento della popolazione, al rapido progresso tecnologico, alla domanda pubblica crescente, ma troppo spesso si trascura la rilevanza morale di queste richieste. Il dibattito è dominato dalle discussioni concernenti il ruolo del mercato, le privatizzazioni, gli incentivi e i disincentivi, il controllo dei costi e le analisi costi-benefici, le coperture detraibili e i concorsi alla spesa, gli schemi di pianificazione e di organizzazione, ma le risposte concentrano l’attenzione sugli strumenti e sui mezzi della medicina e dell’assistenza sanitaria, non sui loro scopi. Qual è lo scopo della medicina e dell’assistenza sanitaria pubblica? Può essa essere ricondotta unicamente a criteri aziendalistici? Indubbiamente lo sviluppo di nuove tecnologie comporta un aumento delle spese: vi sono tecnologie che abbattono i costi o che li incrementano in misura contenuta; ma molte ne hanno determinato un aumento, perché hanno reso possibile un trattamento che prima non c’era, o perché hanno consentito nuove forme di riabilitazione e di prolungamento dell’esistenza, o perché, come nel caso in esame, hanno aggiunto un’opzione ulteriore alla gamma delle scelte possibili. Indubbiamente c’è un limite a ciò che si può ragionevolmente garantire e a ciò che la competizione del mercato può sostenere senza contrasti e disuguaglianze gravi, tuttavia a noi pare ovvio che occorrano non semplicemente provvedimenti finanziari, ma strategie economiche, vale a dire una programmazione consapevole che se il fine fondamentale dell’economia è attenuare le restrizioni imposte dalla scarsità delle risorse allo scopo di soddisfare i bisogni di una popolazione, le decisioni su quali bisogni soddisfare e in che misura questi vadano soddisfatti, oppure su quali siano le priorità, sono questioni con significative e non trascurabili implicazioni etiche. Da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato la necessità di considerare le differenze di genere nella cura e nella ricerca sulle patologie, non solo perché molte patologie un tempo considerate prevalentemente maschili, specie nelle società industriali avanzate, si sviluppano oggi anche nella popolazione femminile, ma nel senso di rilevare e rispettare la specificità delle esigenze di genere. Alle differenze biologiche si assommano infatti diversità psicologiche, culturali, sociali, che non sono prive di effetti sulla salute, considerata ormai come una condizione complessa, che non coincide semplicemente con l’assenza di malattia. L’American College degli Ostetrici/Ginecologi ha sottolineato, riprendendo l’opinione già espressa dalla Società Americana di Anestesiologia, che “il travaglio comporta notevole dolore per molte donne. Non ci sono altri casi nei quali viene considerato accettabile che un individuo debba sopportare un dolore severo, senza trattamento, quando è possibile invece intervenire in modo sicuro sotto controllo medico. In assenza di una controindicazione medica la richiesta della madre è di per sé una indicazione sufficiente per alleviare il dolore durante il travaglio.” Perciò non solo si stenta a credere che sia occorso tanto tempo affinché questo servizio fosse considerato un diritto, ma soprattutto che ancora possa essere ritenuto in qualche modo non obbligatorio nell’offerta di salute in relazione a situazioni contingenti; infatti, quando nel documento si fa riferimento a “fasi di sperimentazione”, non si può evitare di pensare che occorrerà vigilare sul rispetto del diritto a evitare sofferenze non necessarie.

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