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L'ORIGINE DELLA VITA

Giovanni Chieffi

(XI Corso di Formazione in Bioetica: "All'origine delle origini. La nascita: i mille volti di un'idea")

1. Prima di iniziare a discutere su come e quando sia comparsa la vita, è necessario definire cosa s’intende per “vita” o per “organismo vivente”. Diverse sono le caratteristiche comuni e generali degli esseri viventi come la conservazione di una forma definita e costante, una volta raggiunto lo stato adulto, il metabolismo, l’omeostasi, cioè la capacità di conservare costante il proprio ambiente interno, la proprietà del movimento e della irritabilità, cioè di reagire a stimoli di diversa natura, l’adattamento, la variabilità, cioè di presentarsi gli organismi viventi, nell’ambito della specie di appartenenza, diversi tra loro, la proprietà di evolvere, in quanto gli organismi viventi non sono entità fisse nel tempo, ma possono modificarsi nel corso delle generazioni, la classificabilità, ma certamente la caratteristica fondamentale per definire un organismo vivente è rappresentata dalla riproduzione, cioè la proprietà di dare origine ad altri esseri viventi della stessa specie.
2. Gli anni intorno al 1860 furono una tappa fondamentale in campo biologico. La teoria dell’evoluzione di Charles Darwin e gli esperimenti di Louis Pasteur, cui accennerò tra poco, permisero di abbandonare la congerie di teorie fantasiose che si erano succedute nei secoli sull’origine della vita, offrendo le basi per affrontare il problema con rigore scientifico. Una volta affermatasi la teoria dell’evoluzione (le prove fornite da Darwin erano più che convincenti), vennero sollevati numerosi interrogativi tra cui quello riguardante l’origine della vita: se le piante e gli animali si sono evoluti da forme più semplici e queste a loro volta da generazioni che le precedettero, ci deve essere pur stato un primissimo antenato. Si tratta quindi di indagare su come e quando sia comparsa la prima forma di vita, il problema fondamentale dell’evoluzionismo, in quanto ne rappresenta il punto di partenza.
3. Varie sono state le ipotesi fatte dagli scienziati. Aristotele, 2400 anni fa, raccogliendo le idee formulate dai filosofi che lo precedettero, propose che la vita potesse generarsi spontaneamente per l’esistenza di un “principio attivo” insito nella materia non vivente (“principio passivo”). Il fango, per esempio, è materia inerte ma contiene un “principio attivo” immateriale che ha la predisposizione a organizzare la materia in qualcosa di vivo, come un verme, una mosca, una rana. In proposito scriveva Aristotele:….Tali sono i fatti, ogni cosa si sviluppa non solo dall’accoppiamento degli animali, ma dalla putrefazione della Terra….E tra le piante, le cose si svolgono allo stesso modo, alcune crescono dai semi, altre, per effetto della generazione spontanea, da forze naturali (principio attivo), esse nascono dalla Terra in putrefazione o da alcune parti di piante….
La generazione spontanea, così viene chiamata questa ipotesi sull’origine della vita, tenne banco per secoli, sostenuta anche da autorevoli pensatori, come Newton, Cartesio e Bacone, con alcune semplificazioni tra cui la credenza, all’inizio del XIII secolo, che le oche nascessero da alcuni abeti a contatto con le acque dell’oceano: il cosiddetto “albero delle oche”, credenza sopravvissuta fino a circa 250 anni fa, così come quella dell’origine di agnelli dai frutti di alcuni alberi. Jean Baptiste Van Helmont, medico belga vissuto nel 1600, famoso per le sue esperienze di fisiologia delle piante, sostenne la generazione spontanea proponendo, seriamente, addirittura la ricetta per produrre topi in 21 giorni da una camicia sudicia a contatto con chicchi di frumento. Il “principio attivo” aristotelico, secondo Van Helmont, era rappresentato dal sudore umano della camicia sporca. Con un minimo di senso critico, si direbbe subito che questo esperimento, oltre a suscitare ilarità, mancava di un semplice controllo, quello cioè di mettere camicia sporca e chicchi di frumento in una scatola ermeticamente chiusa per 21 giorni, quelli corrispondenti al periodo di gravidanza della topina. Intanto in Italia verso la fine del ‘600, un medico fiorentino, Francesco Redi, affrontò il problema della generazione spontanea con metodo sperimentale, metodo introdotto nella fisica da un suo grande contemporaneo, Galileo Galilei. Siccome il Redi era portato a non accettare passivamente quanto veniva tramandato per tradizione, per quanto autorevole fosse, decise di eseguire una serie di esperimenti per verificare la credenza che la terra potesse, sono sue parole: ….produrre (oltre le piante, che spontaneamente senza seme si presuppone nascano) certi altri piccoli animaletti ancora: cioè a dire le mosche, le vespe, le cicale, i ragni, le formiche, gli scorpioni e gli altri bacherozzoli terrestri, ed aerei, che da’ Greci éntoma xoa, e da’ latini insecta animalia furono chiamati…… E più oltre spiega la sua incredulità essendo:….incline a credere che tutti quei vermi si generino dal seme paterno, e che le carni, e le erbe e l’altre tutte putrefatte, e putrefattibili, non facciano altra parte, né abbiano altro uffizio nella generazione degli insetti, se non di apprestare un luogo, o nido proporzionato, da cui dagli animali nel tempo della figliatura sieno portati e partoriti i vermi, e l’uova, o altre semenze di vermi, i quali tosto che nati sono, trovano in esso nido un sufficiente nutrimento abilissimo per nutricarsi: e se in quello non son portate dalle madri queste suddette semenze, niente mai, e replicatamente niente vi si generi o nasca….. E così il Redi impostò l’esperimento che consistette nel far marcire delle carni sia in vasi la cui apertura era coperta da carta o meglio da velo (perché vi potesse liberamente entrare l’aria) saldamente legati, sia in vasi lasciati completamente aperti. Il risultato fu che le mosche nascevano in gran numero nei vasi lasciati scoperti, nei quali potevano deporre sulla carne le uova da cui poi si sviluppavano le larve, le pupe e alla fine l’insetto perfetto. Invece mai si vide sviluppare mosche dalle carni contenute nei vasi che erano stati accuratamente coperti appunto per evitare la deposizione su di esse delle uova da parte delle mosche.
4. Invero il problema della generazione spontanea non venne risolto dagli esperimenti del Redi, ma si spostò di volta in volta, nei secoli successivi, a livelli di organizzazione sempre più semplici grazie all’invenzione del microscopio. Così nel ‘700 Lazzaro Spallanzani, con una serie di mirabili esperimenti, escluse che i Protozoi ciliati, che pullulano nelle acque stagnanti, potessero generarsi spontaneamente dagli infusi di fieno. Sottoponendo le infusioni di fieno ed i recipienti che le contengono alla temperatura dell’acqua bollente, dimostrò che rimangono sterili. Quindi anche i ciliati nascono da germi preesistenti, distrutti dal calore. Ancora un secolo più tardi Pasteur, con esperimenti analoghi a quelli dello Spallanzani, cioè “sterilizzando” il brodo e i recipienti con il calore, dimostrò che anche i batteri, all’epoca gli organismi più semplici conosciuti, si originavano solo da altri batteri.
5. Una volta abbandonata l’ipotesi della generazione spontanea degli organismi viventi, agli inizi del ‘900 il russo Alexandr I.O. Oparin e indipendentemente l’inglese John B.S. Haldane fecero l’ipotesi che nelle fasi iniziali della formazione del nostro pianeta devono essere comparsi aggregati di molecole a base di carbonio, capaci di sintetizzare copie di se stesse cioè in possesso della proprietà fondamentale di un organismo vivente, cioè quella di riprodursi. Questa è stata certamente una tappa dell’evoluzione che ha richiesto una serie di trasformazioni chimiche, ognuna delle quali aggiunse gradatamente complessità alle molecole organiche. Sulla Terra primordiale i composti del carbonio erano il metano e il biossido di carbonio in tracce, ciascuno dei quali contiene un atomo di carbonio. L’atmosfera era formata in origine anche di vapore acqueo, idrogeno e ammoniaca. La sua composizione era probabilmente simile a quella dei gas che ancora oggi fuoriescono dai vulcani: idrogeno, vapore acqueo, idrocarburi semplici come il metano, idrogeno solforato, anidride solforosa, monossido di carbonio e anidride carbonica. Questa atmosfera era certamente priva di ossigeno libero; l’ossigeno era presente soltanto nei composti chimici quali l’acqua e l’anidride carbonica. Era quindi un’atmosfera riducente, un fatto che ha favorito la nascita della vita. Infatti molte molecole biologiche, tra cui gli amminoacidi e i nucleotidi, non possono formarsi spontaneamente in presenza di ossigeno, dato che questo elemento reagisce con esso e le modifica chimicamente.
Nel 1953, nel laboratorio del premio Nobel Harold C. Urey, Stanley C. Miller impostò il famoso esperimento che, riproducendo le probabili condizioni primordiali della Terra, portò alla formazione in laboratorio di molecole organiche seppure semplici, tra cui gli amminoacidi[1]. Veniva così avvalorata l’ipotesi dell’evoluzione chimica sviluppata da Oparin e Haldane.
Vediamo nei dettagli come venne impostato l’esperimento. Miller costruì un apparecchio a tenuta d’aria e vi mise una miscela di metano, idrogeno, acqua e ammoniaca. Riscaldando questa miscela fino a ebollizione dell’acqua, i gas venivano sottoposti a scariche elettriche ad alta energia. I vapori passavano in un condensatore e venivano raccolti in una trappola. In questo modo Miller pensava di aver riprodotto le probabili condizioni esistenti nell’atmosfera primitiva: gas, calore, pioggia e scariche di fulmini. Così Miller riassumeva i risultati nel suo articolo comparso su Science nel 1953: L’idea che i composti organici, che servono da base per la vita, si fossero formati quando la terra aveva un’atmosfera composta da metano, ammoniaca, acqua e idrogeno, invece di anidride carbonica, azoto, ossigeno e acqua, venne prospettata da Oparin ed è stata recentemente rimessa in luce da Urey e Bernal. Per verificare tale ipotesi, ho costruito un apparecchio in cui far passare CH4, NH3, H2O e H2 contemporaneamente a una scarica elettrica. Nella miscela risultante è stata trovata la presenza di amminoacidi….
L’esperimento di Miller indicava che un processo simile si sarebbe potuto verificare nell’atmosfera della Terra ai suoi albori. I legami chimici che univano gli atomi delle molecole introdotte nella miscela di gas verrebbero spezzati da qualche forma i energia (calore, elettricità). Questi atomi si sarebbero poi ricombinati per formare molecole di amminoacidi.
Successivamente, nel 1957, Sidney W. Fox, della Florida State University, comunicava di aver ottenuto catene di amminoacidi, quindi proteine, in seguito a riscaldamento di una miscela di amminoacidi allo stato secco.
All’esperimento di Miller ne seguirono altri con miscele di gas di partenza diverse, ma sempre contenenti gli elementi fondamentali degli organismi viventi, cioè carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo anche variando le fonti di energia, come raggi ultravioletti, raggi X, flussi di elettroni o semplicemente temperature elevate. Si ottennero così composti organici diversi, ma sempre del tipo di quelli dei viventi: glicidi, lipidi, amminoacidi, e perfino nucleotidi. Nel 1961 infatti Juan Oro mescolando acido cianidrico e ammoniaca ottenne l’adenina, una molecola fondamentale degli acidi nucleici, nonché dell’ATP, la principale fonte di energia delle reazioni biochimiche.
Certamente le condizioni in cui si sono formate le prime molecole organiche devono essere state diverse da quelle attuali. In proposito Haldane osservava che se così non fosse stato, il materiale organico appena sintetizzato sarebbe stato subito fagocitato da altri organismi.
6. La conversione di piccole molecole in grandi molecole molto complesse deve essere stato un processo molto difficile per le condizioni ambientali estreme della Terra primordiale, dovute alla intensa radiazione ultravioletta e all’alta temperatura che provocavano la decomposizione di aggregati appena formati. Miller aveva scoperto, come abbiamo descritto, la possibilità di produrre molecole organiche complesse, come gli amminoacidi, a partire da molecole semplici come metano, ammoniaca, acqua e idrogeno, ma non spiegava come queste molecole non venissero degradate.
Recentemente è stata fatta l’ipotesi che a proteggere le molecole da fattori esterni siano stati i minerali. Piccoli comparti che si formano nei minerali, come l’argilla, avrebbero ospitato queste molecole, offrendo loro anche il supporto per il loro assemblamento. Inoltre i minerali avrebbero potuto selezionare attivamente particolari molecole, come quelle che si sarebbero rivelate di importanza biologica. Inoltre gli ioni minerali, possono catalizzare reazioni complesse non solo, ma possono essere incorporati nelle molecole biologiche. Nel 1998 Brandes e collaboratori condussero esperimenti in cui un amminoacido, la leucina, si degradò entro pochi minuti in acqua pressurizzata a 200 Cº. Ma quando venne aggiunto solfuro di ferro, l’amminoacido si conservò inalterato per giorni. Il supporto offerto dai minerali avrebbe anche permesso di selezionare le molecole che avrebbero partecipato alla formazione di molecole importanti. E’ il caso della sintesi delle proteine per un processo di polimerizzazione di molecole di amminoacidi. Questi si presentano in due forme, che contengono gli stessi atomi, ma sono immagini speculari l’una dell’altra, cioè sono forme isomeriche. Le due forme sono chiamate rispettivamente sinistrorsa (L) e destrorsa (D). Nell’esperimento di Miller si formarono miscele in parti uguali di molecole D e L, mentre le proteine degli organismi sono costituite quasi per il 100% di amminoacidi L. Diverse ipotesi sono state avanzate per spiegare tale preferenza e tra queste quella che ha ottenuto un qualche supporto prende in considerazione la selezione degli amminoacidi L per qualche particolare caratteristica nell’ambiente. Robert M. Hazen e collaboratori della Carnegie Institution suppongono che questo ambiente fosse rappresentato dalle facce di cristalli le cui strutture superficiali sono immagini speculari l’una dell’altra. Uno dei minerali, i cui cristalli formano coppie di facce speculari è la calcite che in molti gusci di molluschi è legata ad alcuni amminoacidi. Questi ricercatori cercarono di verificare questa ipotesi immergendo un grosso cristallo di calcite in una soluzione contenente parti uguali delle due forme di un comune amminoacido, l’acido aspartico. Dopo 24 ore venivano raccolte tutte le molecole che avevano aderito alle due facce speculari del cristallo. Risultò che le facce sinistrorse della calcite selezionavano prevalentemente gli amminoacidi sinistrorsi, il cui eccesso raggiungeva in alcuni esperimenti il 40%. Se questi risultati venissero confermati, e se esistessero le condizioni perché gli amminoacidi potessero legarsi a formare molecole complesse, come le proteine, sarebbe un passo notevole verso la comprensione di come sia originata la vita, anche perché recenti esperimenti indicano che solo certe proteine sono capaci di autoriprodursi. Quindi fu per puro caso che la molecola proteica destinata al successo si sia sviluppata su un faccia di un cristallo che “preferiva” gli amminoacidi sinistrorsi anziché quelli destrorsi.
Si è così andata affermando l’ipotesi, sostenuta in particolare dal chimico Gunter Wächetrshäuser, secondo cui i minerali avrebbero funzionato come stampi, catalizzatori e anche come fonte di energia per la formazione di diverse molecole biologiche complesse. Hazen e collaboratori pensarono di riprendere gli esperimenti di Miller utilizzando un procedimento usato nell’industria, conosciuto come la sintesi di Fischer-Tropsch, tecnica con cui si ottengono molecole organiche formate da una lunga catena di atomi di carbonio a partire da biossido di carbonio e idrogeno. Aggiungendo degli acidi minerali come quelli certamente disponibili sulla Terra primordiale e tuttora presenti nei pressi delle bocche idrotermali oceaniche ricche di solfuri, che per l’elevata temperatura potrebbero mimare le condizioni ambientali primordiali, Hazen e coll. hanno ottenuto l’allungamento di molecole con un numero crescenti di atomi di carbonio, come l’allungamento del nonanetiolo con 9 atomi di carbonio in acido decanoico a 10 atomi di carbonio. Questo composto è simile agli acidi organici che alimentano le reazioni metaboliche delle cellule.
Così nel corso di milioni di anni il materiale prebiotico (amminoaidi, nucleotidi, etc. si è concentrato probabilmente sulla superficie di particelle minerali quali l’argilla, che ha la proprietà di catalizzare la reazione di formazione di catene polimeriche come le proteine e gli acidi nucleici (DNA, RNA). Quindi le principali classi di composti potettero formarsi e concentrarsi già 4 miliardi di anni fa.
7. Abbiamo così speculato finora su quella fase dell’origine della vita che va sotto il nome di evoluzione chimica, necessario prerequisito per l’evoluzione biologica, cioè dell’evoluzione delle prime forme di vita, di quelle cioè, come abbiamo detto all’inizio, provviste della caratteristica fondamentale di riprodursi. E’ probabile che questa proprietà sia comparsa a livello molecolare, cioè di quelle molecole che oggi sono capaci di riprodursi e di trasmettere l’informazione in esse contenuta alle molecole figlie. Tale proprietà è posseduta dalle macromolecole degli acidi nucleici e, secondo recenti esperimenti, anche da certe molecole proteiche (vedi il caso dei prioni causa di molte malattie, tra cui quella della “mucca pazza”). Perché ciò si potesse realizzare, era necessario un complesso meccanismo da poco conosciuto che richiede, nel caso degli acidi nucleici (DNA e RNA) la partecipazione oltre ai nucleotidi, di una batteria di enzimi (elicasi, topoisomerasi, primasi, polimerasi, ligasi) che innescano una cascata di eventi. Un punto difficile da immaginare è quali siano state le prime macromolecole comparse per prime, le proteine o gli acidi nucleici. La domanda è legittima in quanto sappiamo che le proteine sono sintetizzate sulla base delle istruzioni fornite dal DNA, il quale a sua volta viene sintetizzato da particolari enzimi che sono proteine. In altri termini, è nato prima l’uovo o la gallina? Per rispondere a tale quesito, alcuni biologi, tra cui Francis Crick, hanno ipotizzato la comparsa di un composto dotato della duplice funzione, ossia di duplicarsi senza l’intervento di proteine. Questa molecola sarebbe l’RNA, la molecola che traduce l’informazione contenuta nel DNA per la sintesi proteica. Tale ipotesi è avvalorata dalla scoperta di enzimi costituiti di RNA. Per cui non è escluso, anche se ancora da dimostrare, che un qualche tipo di RNA si sia duplicato grazie alla proprietà enzimatica dello stesso RNA.
Uno dei programmi di ricerca di Hazen e collaboratori riguarda la riproduzione di semplici processi chimici che possano condurre a un sistema autoreplicante, forse a un sistema correlato ai cicli metabolici comuni a tutte le cellule viventi. Comunque gli scienziati sono molto lontani dal creare la vita e non si può escludere che resti ignota la serie di trasformazioni chimiche che diedero origine alla vita sulla Terra.
8. Ammesso che le prime forme di vita siano rappresentate nel brodo primordiale da molecole capaci di autoriprodursi, oggi la vita non ci appare dispersa nell’ambiente, ma racchiusa all’interno di un involucro, la membrana cellulare che la separa dal mondo esterno. In altri termini gli organismi viventi hanno una struttura cellulare. Nella cellula avviene un insieme di reazioni chimiche coordinate, mentre quelle che si svolgevano nell’ambiente primitivo erano reazioni casuali e disordinate. Come si è quindi passati dallo stato disperso molecolare a quello cellulare?
Oparin ipotizzò la formazione, nei mari caldi primitivi, di aggregati di molecole organiche avvolti da molecole d’acqua, simili alle attuali cellule, che chiamò “coacervati” ( dal latino cum acervo = ammucchio insieme). Tale ipotesi ebbe una dimostrazione sperimentale quando sciogliendo nell’acqua determinate proteine dotate di particolari affinità per l’acqua, in opportune condizioni di temperatura e acidità, si venivano a formare migliaia di goccioline, al cui interno le molecole si univano tra loro. Ciò avveniva per l’esistenza di cariche elettriche di senso opposto sulle molecole proteiche, le quali consentivano la loro reciproca attrazione e allo stesso tempo il richiamo di molecole polari dell'acqua sulla superficie esterna degli aggregati in modo da isolarli dall’ambiente esterno. Anche gli esperimenti di Sidney Fox nel 1958 portarono alla formazione di piccoli globuli, che chiamò “microsfere”, e che ottenne sciogliendo in acqua calda e leggermente salata le molecole organiche (proteine) da lui stesso sintetizzate. Al microscopio elettronico queste microsfere erano rivestite da una doppia membrana di protezione che non ha niente a che fare con la membrana cellulare, ma che si comporta sotto certi aspetti come quella. Per esempio, sottoponendo a diverse pressioni osmotiche le microsfere, si assiste a un loro rigonfiamento o raggrinzimento proprio come fanno le cellule poste nelle stesse condizioni.
L’ipotesi proposta da R.G. Goldacre nel 1958 e ripresa successivamente da Melvin Calvin, è forse più realistica, in quanto suggerisce che i microcontenitori capaci di confinare nel loro interno molecole biologiche siano state membrane lipidiche. Queste vescicole, lasciando passare al loro interno piccole molecole di precursori delle macromolecole biologiche e bloccando i loro polimeri che si fossero formati, avrebbero rappresentato le protocellule.
9. Secondo un’altra ipotesi, la vita sarebbe un componente fondamentale dell’Universo e quindi sarebbe sempre esistita. Tale ipotesi, cosiddetta della “panspermia”, fu avanzata dal chimico svedese Svante A. Arrhenius agli inizi del XX secolo e suppone che le forme viventi più semplici, sotto forma di germi o spore, migrino attraverso lo spazio su nuovi pianeti. La propagazione di questi germi sarebbe avvenuta attraverso i meteoriti nel cui interno è stata riscontrata la presenza di qualche composto organico. Recentemente tre ricercatori napoletani, i biologi molecolari Giuseppe Geraci e Rosanna Del Gaudio, e il geologo Bruno D’Argenio hanno scoperto, oltre che in campioni di rocce di età diversa, anche in campioni di meteoriti la presenza di microrganismi vitali che, osservati al microscopio, nuotano attivamente quando il campione è sospeso in un liquido nutritivo. Questa scoperta, secondo gli Autori, avvalora l’ipotesi che la vita sia venuta dall’esterno sulla Terra.
Uno degli argomenti usato contro l’ipotesi della panspermia deriva dalla estrema delicatezza dei composti organici che vengono facilmente degradati dalle alte temperature. Come avrebbero resistito queste molecole al calore cui vengono sottoposti i meteoriti all’ingresso nell’atmosfera? La risposta a tale obiezione è stata fornita da alcuni ricercatori del California Institute of Technology. Questi hanno scaldato alcuni frammenti del famoso meteorite ALH8401, quello dei fossili marziani, dimostrando che il cuore del meteorite non ha mai superato i 40°C, una temperatura ben tollerata dai composti organici.
Comunque l’ipotesi della panspermia non fa che spostare il problema dell’origine della vita su altri corpi celesti.
Non va sottaciuta una terza ipotesi dell’origine della vita: l’ipotesi creazionista. Questa sostiene che la comparsa della forma primordiale di vita sia stata creata non dalla casualità degli eventi, bensì da una Mente Suprema. Secondo i creazionisti, sostenere che molecole molto complesse si siano formate attraverso l’incontro casuale degli atomi che le costituiscono è privo di logica. A questa critica si può rispondere che le combinazioni possibili dei costituenti più semplici della materia sono limitate e regolate da leggi chimiche e fisiche restrittive.
10. Le più antiche, e certamente più controverse, tracce di vita o biotracce sono state scoperte recentemente da un gruppo di geologi guidati da Stephen J. Mojzsis nella piccola isola di Akilia (Groenlandia). I geologi hanno analizzato nei minerali di lastroni vulcanici elementi radioattivi, datandoli a circa 4 miliardi di anni fa, per l’esattezza a 3,83 miliardi di anni fa. Si tratta delle rocce più antiche conservate sulla superficie terrestre. Nel corso di centinaia di milioni di anni queste rocce hanno subito processi metamorfici dovuti ad almeno due differenti episodi di sprofondamento e sollevamento, tali da rendere impossibile trovare tracce ancora intatte di organismi. L’indizio di vita intravisto dai geologi, utilizzando il microscopio elettronico a scansione, è rappresentato in queste rocce da particelle nere di grafite, un minerale costituito di carbonio puro che si può formare per riscaldamento di sostanze organiche. Inoltre Mojzsis e collaboratori hanno anche osservato che la grafite era circondata da cristalli di apatite; questo minerale l’avrebbe preservata dalle trasformazioni metamorfiche. Cosa ha spinto questi ricercatori a sospettare che questo carbonio potesse rappresentare una biotraccia? L’alta percentuale dell’isotopo più leggero del carbonio, il C-12, rispetto all’isotopo più pesante, il C-13, contenuto nella grafite corrisponde alla maggiore preferenza che gli esseri viventi attuali hanno per il C-12 quando utilizzano il biossido di carbonio come fonte di energia per le loro attività.
D’altra parte bisogna tener presente che l’alta percentuale di carbonio leggero nella grafite, potrebbe essere interpretata non solo come espressione di processi biologici, ma anche come risultato di reazioni inorganiche che si svolgono a pressioni e temperature elevate, cui sono assoggettate le rocce a grande profondità o che si solidificano da magma (Fedo e Whitehouse, 2002).
La grafite è stata rinvenuta anche nelle rocce australiane (la selce di Apex, sede dei famosi microfossili di Schopf) risalente a 3,46 - 3,47 miliardi di anni fa. Anche in queste rocce la grafite era arricchita significativamente di carbonio leggero. Inoltre erano copresenti gli stromatoliti, cumuli mineralizzati di colonie di batteri che rappresentano l’unico segno di vita primitiva, considerati universalmente la testimonianza fossile più antica sulla Terra. Ma anche in questo caso i fenomeni di arricchimento in C-12 possono essere interpretati come il risultato di reazioni chimiche abiotiche.
Un’altra biotraccia studiata è quella dello zolfo leggero presente nelle rocce molto antiche dell’Australia occidentale, risalenti a 3,47 miliardi di anni fa. Queste rocce contengono una percentuale di S-32 più alta rispetto allo zolfo più pesante, S-34, percentuale caratteristica, come nel caso del C-12, del materiale di riferimento dei solfobatteri, che utilizzano lo zolfo come fonte di energia. Anche in questo caso ci troviamo di fronte allo stesso dubbio sorto per il C-12, cioè se i rapporti isotopici tra S-32 e S-34 siano prodotti dell’attività batterica o siano piuttosto il risultato di reazioni inorganiche.
Comunque lo studio di più marcatori nelle rocce antiche sarà necessario per dimostrare l’esistenza di organismi primordiali. Tale esigenza varrà anche quando saremo in grado di esplorare sul Pianeta rosso la presenza di tracce di vita, ovviamente di vita come noi la definiamo. Anzi proprio su Marte, essendo la sua superficie rimasta immutata nel tempo, gli scienziati prevedono che dovrebbe essere molto più facile che sulla Terra la ricerca di eventuali forme di vita (ripeto, forme di vita come noi la definiamo).
11. L’evoluzione che ha portato dapprima alla comparsa della cellula procariotica, cioè della cellula contenente DNA disperso nel citoplasma, e poi alla cellula eucariotica, il cui DNA è racchiuso nella membrana nucleare, è durata circa due o tre miliardi di anni. Molto più rapido deve essere stato il passaggio dagli organismi unicellulari ai pluricellulari vegetali e animali. Infatti i primi fossili di organismi pluricellulari compaiono già abbondanti circa 600 milioni di anni fa con una “staffetta” della massima complessità che va, nel caso degli animali, dagli invertebrati ai vertebrati marini, agli anfibi, ai rettili, ai mammiferi, all’uomo come viene convenzionalmente rappresentata nei libri di testo. Secondo uno dei maggiori studiosi dell’evoluzione, Stephen Jay Gould, questa rappresentazione è legata al considerarci, noi umani, come gli organismi destinati al predominio. Essa invece sarebbe del tutto secondaria rispetto all’aspetto più saliente della storia biologica che è rappresentata dalla stabilità del modo di vita batterico dalle prime testimonianze fossili fino ad oggi e quasi certamente, anche per il futuro della terra. La nostra è in effetti “l’età dei batteri” come era all’inizio e come sarà sempre. I batteri rappresentano il più grande successo della storia della vita, afferma Gould. Questo successo, secondo me, è anche dovuto alla rapida capacità di riprodursi dei batteri, che ha permesso si selezionare ceppi sempre più resistenti il che li fa considerare tra gli organismi più evoluti non in senso antropomorfico, ma in senso biologico di “adattabilità”[2]. Infatti i batteri occupano una grande varietà di ambienti e sono soprendentemente diversificati. Non riusciamo a immaginare come l’uomo potrebbe minacciare la loro estinzione. Il numero di cellule di Escherichia coli che vivono nell’intestino di ciascuno di noi supera il numero di persone vissute sulle Terra dalla comparsa dell’uomo.
Gould rappresenta questa sua ipotesi sull’affermazione dei batteri partendo dal presupposto che le prime forme di vita comparse sulla Terra si trovavano al limite minimo di complessità compatibile e conservabile. Rappresentando graficamente questo limite inferiore come un muro, l’aumento di complessità può avvenire solo in una direzione, cioè verso destra. La complessità è avvenuta in modo lento, episodico ed eterogeneo dando origine a taxa aventi scarsa affinità tra loro. Inoltre per ogni modalità di vita che comporti un maggiore grado di complessità, ne esiste probabilmente un’altra ugualmente vantaggiosa basata su una maggiore semplicità di forma, per esempio i parassiti. Quindi il concepire che la vita si evolva solo verso una maggiore complessità è dovuto, secondo Gould, solo a un pregiudizio che tende a concentrare l’attenzione su noi stessi, il che porta a ignorare altrettante linee evolutive che si adattano ugualmente bene assumendo forme di vita più semplici.
[1] In verità la sintesi della prima molecola organica, l’urea, fu ottenuta da sostanze inorganiche, in assenza di organismi, dal chimico tedesco Friedrich Wöhler nel 1828, partendo da cianato di ammonio, che ha la stessa formula grezza ma diversa disposizione atomica. L’urea è un composto organico prodotto dagli animali come sostanza di rifiuto. Questa sintesi destò molto scalpore perché fino a quel momento si pensava che solo gli organismi viventi potessero sintetizzare sostanze organiche.
[2] I batteri si riproducono agamicamente mediante scissione della cellula in due parti uguali, ogni venti minuti in condizioni ottimali; sicché ogni cellula batterica sarebbe in grado di dare origine a 5 miliardi di cellule (circa la popolazione umana totale) in meno di 11 ore e nel giro di pochi giorni a un numero di batteri tale da riempire lo spazio occupato da tutti gli oceani. D’altra parte esistono diversi meccanismi di controllo di crescita delle popolazioni, comprese quelle batteriche. E’ nota la storiella relativa al gioco degli scacchi: il compenso che il savio inventore del gioco chiese al suo signore, di un chicco di frumento per il primo quadretto, due per il secondo, quattro per il terzo e così via in progressione geometrica in ragione di due fino al 64° quadretto della scacchiera, parve a prima vista molto modesto, ma fatto il calcolo si vide che superava di gran lunga le possibilità del regno intero.

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