Valentina Sellaroli*, Carlo Alberto Redi**, Amedeo Santosuosso***
La scienza e le Corti: l’esperienza di interazione all’interno di ENLSC
1. L'interazione tra scienze della vita e diritto: un nuovo contesto per un dialogo più stretto
I giudici e il mondo del diritto condividono con la popolazione generale l’interesse, la diffidenza e i pregiudizi verso le scienze biologiche e le applicazioni in campo umano e agroalimentare. In questi atteggiamenti si mescolano alcuni aspetti tradizionali, se così si può dire, come la preoccupazione per le possibili violazioni della privacy degli individui, per le discriminazioni su base genetica “predittiva” nel mondo del lavoro e nella società (assicurazioni e altro) e alcuni aspetti decisamente nuovi. Intendiamo riferirci a una caratteristica del nostro patrimonio genetico (la condivisione all’interno di un gruppo di individui legati da vincoli di parentela), che è ben nota e conosciuta dal punto di vista scientifico, ma che in questi anni sta acquistando un rilievo decisamente nuovo anche per il diritto.
Quel che è certo è che questioni del genere arrivano alla valutazione delle Corti, che si trovano a dover decidere, anche se mancano leggi ad hoc e anche se i giudici non hanno competenze scientifiche e, soprattutto, una familiarità con il ragionamento scientifico.
In questo contesto si colloca l’attività dello European Network for Life Sciences, Health and the Courts (ENLSC) che, con il sostegno dell’Università di Pavia, ha avviato dal 2002 una intensa attività di interazione tra giudici e scienziati europei. Il Seminario Europeo Hot Genetic Issues and the Courts, svoltosi a Pavia il 7-10 settembre 2005, ha rappresentato un momento particolarmente significativo in questa direzione.
Ventitrè giudici e pubblici ministeri provenienti da tredici paesi europei hanno speso quattro giorni tra il Laboratorio di Biologia dello Sviluppo e il Collegio Ghislieri di Pavia e hanno discusso (l’inglese lingua comune) temi scottanti quali la ricerca sulle cellule staminali, la clonazione, la proprietà intellettuale e le biotecnologie, la raccolta e il trattamento dei dati genetici, le tecniche di analisi del DNA in tema di indagini criminali e altro.
Era la prima volta che ciò accadeva a livello europeo ed è merito del Consiglio Superiore della Magistratura italiano avere accolto la proposta che veniva da ENLSC e dall’Università di Pavia e di avere coinvolto i consigli superiori degli altri paesi europei.
Il dialogo tra scienza e diritto non è facile. Non è, infatti, semplicemente una questione di trasferimento di conoscenze scientifiche ai giudici o, viceversa, di informazione giuridica degli scienziati. La cosa più difficile, ma anche più affascinante, sta nel riuscire a comprendere come in questa interazione siano coinvolte le strutture concettuali di base che ciascuno di noi utilizza, in ambito giuridico o in ambito scientifico. Ciò significa che chi partecipa a questo dialogo deve avere una certa disponibilità a mettersi in discussione, a rinunciare alle scorciatoie mentali che quotidianamente utilizza nel proprio ambiente.
La differenza tra il mondo del diritto e quello della scienza sta sia nei concetti sostanziali sia nel linguaggio sia nel metodo. Gli scienziati, infatti, conoscono il mondo in cui operano essenzialmente, anche se non esclusivamente[1], attraverso il metodo sperimentale. Ma il metodo sperimentale, di per sé, non ha un ruolo autonomo e definitivo nel sistema concettuale delle decisioni giudiziarie.
Per riuscire a far vivere questa interazione, pur nella consapevolezza del perdurare di complessi problemi concettuali i seminari organizzati da ENLSC, e quindi anche quello dello scorso settembre, utilizzano una particolare modalità che prevede, oltre a relazioni di taglio tradizionale, due momenti diversi: hands-on-lab e legal labs.
Gli hands-on-lab si svolgono direttamente in un laboratorio scientifico, dove ai partecipanti, divisi in piccoli gruppi, vengono illustrate le nozioni basilari di biologia e genetica, vengono mostrate le attività di laboratorio e viene offerta la possibilità di svolgere direttamente alcune elementari operazioni tecniche. Per esempio, nella sezione dedicata alle investigazioni criminali, nel corso del seminario europeo del settembre scorso, è stata anche ricostruita una vera e propria “scena del crimine”, sono state mostrate le attività di rilevazione compiute dalla polizia scientifica, e i partecipanti hanno potuto eseguire semplici operazioni quali il riconoscimento di una macchia di sangue da una macchia di vernice ed anche distinguere sangue umano da sangue di altri mammiferi.
Anche i legal labs hanno un taglio teorico-pratico. Essi consistono nella presentazione di un caso giudiziario da parte di un giurista unitamente ad uno scienziato. Entrambi prospettano le questioni di maggior rilievo, secondo i rispettivi punti di vista e le possibili soluzioni alternative alla decisione giudiziaria concreta. Si parte così dalla piena comprensione del fatto e si va verso una ricostruzione del ragionamento scientifico e giuridico che ha portato alla regola di giudizio affermata nella decisione, fino alle questioni giuridiche e teoriche più astratte e/o complesse.
Inoltre, con modalità analoghe al legal lab è stato sperimentato, nel seminario di settembre, un press lab. Una questione scientifica di ampia risonanza sociale (le opportunità di lavoro degli scienziati tedeschi sulle cellule staminali di origine embrionale) è stata presentata da uno scienziato (Ananda Chakrabarty) e da un giornalista scientifico (Alison Abbott) e sono stati evidenziati e discussi i punti di incontro o di fraintendimento che si presentano nel corso della formazione di una notizia scientifica.
2. Un approccio naif?
Quando, verso la fine dell’estate 2002, un primo gruppo di magistrati è stato condotto nel laboratorio di biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia (I) e ha trascorso cinque giorni (dalla mattina, al pomeriggio al…dopocena!) tra esperimenti biologici e discussioni legali[2], alcuni critici hanno osservato che mettere insieme scienziati e giudici, e specialmente l’idea di portare un gruppo di magistrati in un laboratorio, era alquanto naïf. Da un lato, i magistrati non avrebbero potuto comprendere granché dell’attività scientifica vera e propria e del suo impatto sociale. Dall’altro, gli scienziati avrebbero semplicemente avuto una opportunità in più per colonizzare le menti dei giudici (come se fosse semplice!). Inoltre, una più profonda comprensione della scienza avrebbe richiesto strumenti differenti. In sintesi, l’iniziativa non era altro che un modo di alimentare l’ideologia dello scientismo nella società.
Anche se la complessità della relazione scienza-diritto non può assolutamente essere sottovalutata e numerosi trabocchetti si celano, a questi scetticismi si può replicare: “I magistrati hanno o no una qualche idea di come gli scienziati lavorino nei loro laboratori? E gli scienziati hanno o no una qualche idea di come le Corti decidano nei casi che attengono a problematiche scientifiche?”
La reciproca mancanza di conoscenza è il terreno fertile di ogni pregiudizio, sia pro sia contro la scienza. Lo scientismo è il tipico pregiudizio a favore della scienza, mentre il tipico pregiudizio contro la scienza è il rifiuto ideologico, e quindi acritico, della stessa. Entrambi questi pregiudizi sono parimenti dannosi e dovrebbero essere superati o, quanto meno, arginati.
In più, l’esperienza degli anni successivi ci ha mostrato che il portare i giudici in laboratorio, lungi dall’essere un banale safari fotografico, comporta una decontestualizzazione che rende i partecipanti disponibili a considerare punti di vista diversi. In altri termini, anche giudici esperti e di notevole valore culturale, una volta fuori dalle corti e dal loro ambiente, hanno trovato naturale il confrontarsi alla pari sia con gli scienziati sia con i colleghi provenienti da altri paesi.
Questo ultimo aspetto apre su un altro versante di perplessità che i legal labs hanno talora suscitato. La discussione per casi non consentirebbe un reale approfondimento tecnico giuridico e si scontrerebbe con il fatto che i casi, e i giudici che li decidono, non creano e non possono creare la legge.
E’ un dato di fatto che nella tradizione giuridica italiana e europea continentale vi è scarsa propensione per la discussione per casi. I nostri sistemi sono, come è noto, sistemi di civil law, con la connessa prevalenza del diritto di formazione legislativa (la loi come fonte posta al vertice gerarchico delle fonti). Questo tipo di perplessità, tuttora diffuse nel nostro ambiente giuridico (e molto forti anche in paesi come la Francia e la Spagna) riflettono una visione datata di quanto sta accadendo, e per molti versi è già accaduto, nel mondo del diritto, specie quello commerciale e quello che ha attinenza con le applicazioni mediche e biotecnologiche. Il sistema delle fonti del diritto si presenta ormai come non stabile e aperto ad apporti diversi da quello strettamente legislativo, primo fra tutti quello proveniente dalla attività delle corti[3].
Eppure discutere su casi ha il grande vantaggio di porre tutti, quale che sia la formazione di provenienza (giuridica, scientifica o di altro genere), in una condizione iniziale di parità. Nello stesso tempo, ha il vantaggio di valorizzare i punti di contatto, più che le differenze, tra le esperienze giuridiche dei diversi paesi: alle differenze si arriva dopo aver constatato, e meglio conosciuto, il conflitto nella sua dimensione fattuale e scientifica.
3. Dall’Islanda al Veneto
Un paio di esempi possono rendere più chiaro quanto fin qui detto.
Tra i casi affrontati nei legal labs di Pavia, due tra i più interessanti riguardavano questioni in tema di privacy e trattamento di dati genetici: un caso italiano e uno islandese.
Il caso italiano. Una donna chiede di avere accesso ai dati (sanitari, e perciò sensibili) contenuti nella cartella clinica di sua sorella, morta di cancro al seno. La richiesta, avanzata alla direzione sanitaria dell’ospedale che conservala cartella clinica, è motivata dalla necessità della donna di acquisire informazioni utili a valutare la eventuale sussistenza, nel nucleo familiare, di una predisposizione genetica a questo tipo di malattia. Anche la madre delle due donne, infatti, era morta tempo prima con lo stesso tipo di cancro. La questione giudiziaria sorge perché l’ospedale autorizza la donna ad una sorta di consultazione indiretta della cartella clinica, attraverso un medico di sua fiducia. La donna, non soddisfatta, agisce dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto (TAR) e chiede di condannare l’ospedale a esibire la cartella clinica. Il TAR[4] accoglie il ricorso della donna e afferma che il personale interesse alla salute reclamato dalla donna è legittimo e prevalente sul diritto alla privacy della sorella morta. Né alcun filtro può essere posto in questo accesso, proprio per il valore fondamentale del diritto che si vuol tutelare con esso.
Il caso islandese. La Corte suprema dell’Islanda (Ragnhildur Guðmundsdóttir v. The State of Iceland), nel 2003[5][6], accoglie la richiesta di una donna a proibire l’inserimento dei dati genetici del padre di sua figlia minorenne nel database nazionale istituito con legge nazionale e gestito da de Code Genetics. La donna non può agire in sostituzione del defunto, ma la figlia ha un interesse, rientrante tra quelli protetti dall’articolo 71 della Costituzione nazionale, in quanto alcune informazioni del padre sono ad essa comuni a causa della familiarità delle caratteristiche ereditarie[7].
In questi due casi, le Corti, pur appartenendo a sistemi normativi profondamente diversi, hanno orientato la propria decisione basandosi sulla considerazione di diritti fondamentali (diritto alla salute e diritto alla privacy[8]) in certa misura comuni. I giudici hanno attinto la regola del caso concreto dai principi generali del diritto. Ma, dal momento che questi principi generali sono in larga parte comuni ai sistemi normativi occidentali, e da ciò consegue una sorta di comunanza di fondo nei criteri che orientano le decisioni giudiziarie su questo genere di questioni. Il risultato è che le regole di giudizio ravvisate dalle due corti sono potenzialmente adottabili anche da Tribunali di altri paesi.
In questo nuovo panorama giudiziario sulle scienze della vita ciascun diritto giurisprudenziale prodotto a livello nazionale può essere compreso solo in quanto parte di un approccio più ampio (e per certi aspetti universale) del mondo giuridico ai diritti di libertà e integrità personale dei cittadini. Questo diritto giurisprudenziale si presenta essenzialmente come un diritto transnazionale. E per la prima volta l’insieme delle Corti dei diversi Stati può essere visto come una comunità che, sia pure a livello embrionale, è sufficientemente universale da potersi confrontare con la comunità scientifica internazionale[9].
4. Conclusione
Nella crescente interazione tra scienza e diritto, le Corti hanno certamente un ruolo importante nelle questioni scientifiche ed intervengono sempre più spesso nelle controversie legate al mondo della genetica o della biologia. In questo modo restano influenzate dagli argomenti e dagli schemi di pensiero scientifici. Ma gli stessi giudici a loro volta influenzano il modo di ragionare del mondo scientifico che deve calarsi nel contesto delle sue implicazioni nella vita della società.
D’altronde se è ineludibile l’importanza e la necessità di leggi generali varate dalle assemblee elettive, è oggettivo il ritardo e l’inadeguatezza di questa fonte del diritto nel campo delle questioni scientifiche. E dunque, conviene forse anzitutto prendere atto che i giudici, di fatto, contribuiscono a creare il nuovo diritto dei conflitti che scaturiscono dalle applicazioni biotecnologiche.
L’attività dello European Network for Life sciences, Health and the Courts parte dal presupposto che essere contro la scienza è tanto antiscientifico quanto essere, acriticamente, a favore della scienza. E con questa ispirazione vuole promuovere una sempre maggiore consapevolezza sia tra i giuristi sia tra gli scienziati.
* Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni di Torino (I); European Centre for Life Sciences, Health and the Courts (Università di Pavia); Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
** Università degli Studi di Pavia, Laboratorio di Biologia dello Sviluppo, Dipartimento di Biologia Animale, Direttore European Centre for Life Sciences, Health and the Courts, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
*** Giudice Corte d’Appello, Milano (I), Università degli Studi di Pavia, Presidente European Centre for Life Sciences, Health and the Courts, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
[1] Ciò è vero anche se non in tutte le branche del sapere scientifico il metodo sperimentale è l’unico valido. “Molte teorie sorte nell’ambito delle scienze umane –compresa la psicologia, la psichiatria, la sociologia e molte altre branche interdisciplinari, come la climatologia e la scienza della previsione dei rischi- sono generalmente accettate come valide anche se non possono essere verificate attraverso una sperimentazione controllata e ripetibile” come spiega Sheila Jasanoff nel volume A.Santosuosso, G.Gennari, C.A.Redi, S.Garagna, M.Zuccotti (eds), Science, Law and the Courts in Europe, , Ibis, Como-Pavia 2004. Il volume raccoglie gli atti del meeting dello European Network for Life Sciences, Health and the Courts, tenutosi a Pavia il 3-4 giugno 2003 ed è disponibile sul sito di ENLSC (www.unipv.it/enlsc).
[2] al sito web di ENLSC (www.unipv.it/enlsc) si può trovare il report e le immagini di una delle attività peculiari dello European Network for Life Sciences, Health and the Courts – ENLSC (vedi Nature, 425:116-117, 2003).
[3] A.Santosuosso, Giudici senza leggi: rimedio o nuova prospettiva?,, in Santosuosso A.- Gennari G. (eds.), Bioethical Matters and the Courts: do Judges Make Law?), Notizie di Politeia, Special Issue, n.65, 2002
[4] TAR Veneto, sent. n. 1674/03
[5]Santosuosso A., The Right to Genetic Disobedience: The Iceland Case, in C.M.Mazzoni (ed.), Ethics and Law in Biological Research, Kluwer Law International, UK 2002.
[6] Abbott A., Iceland Databaseshelved as court judges privacy in peril, Nature 429, 118 (May 13th 2004) News.
[7] Gertz R., An analysis of the Icelandic Supreme Court judgement on the Health Sectore Database Act, (2004) 1:2 SCRIPT-ed, http://www.law.ed.ac.uk/ahrb/script-ed/issue2/iceland.pdf.
[8] Civetta L., Tutela della privacy ed accesso ai documenti amministrativi. (Nota a TAR Veneto, sez. III 3 marzo 2003 n. 1674), Il nuovo diritto, 2003, fasc. 5, pagg. 390-392, pt. 2.
[9] Santosuosso A. – Redi C.A., The need for scientists and judges to work together: regarding a new European network, Health and Quality of Life Outcomes 2003,1 :22 (http://www.hqlo.com/content/1/1/22).