Samuele Strati
L’importanza dello studio critico dell’ideologia del dominio per la corretta analisi della “questione animale”
Nell’analisi di una qualsivoglia problematica, soprattutto quando questa è di natura etica, occorre prestare particolare attenzione a tutta una serie di fattori che potrebbe pilotare lo svolgersi delle operazioni, rischiando di comprometterle e di orientarle verso conclusioni che potrebbero essere inesatte. In particolar modo, le opinioni, le considerazioni personali e le ideologie che si seguono, ritengo siano le più diffuse tra le possibili influenze capaci di manovrare un risultato. Tuttavia, come comportarsi nel caso vi siano ideologie di parte che agiscono sugli individui senza che essi ne siano al corrente? E’ quanto succede, ad esempio, con la cosiddetta ideologia del dominio. Con questo termine si designa la tendenza della nostra specie ad imporre ed esercitare il proprio dominio sulle altre, su se stessa e su tutto il resto del mondo naturale; una tendenza, però, che non è innata nell’uomo, come sostengono in molti, ma che è il frutto di un intenso processo storico, psicologico e culturale, che ha permesso l’autoelevazione morale dell’essere umano a discapito degli altri animali, convincendoci di essere superiori a questi ultimi. Una superiorità non meglio definita, tra l’altro.
Per comprendere il perché una simile ideologia dovrebbe costituire un serio pericolo non solo, ovviamente, di natura pratica, ma anche nelle analisi di problematiche bioetiche e morali, tra cui, soprattutto, la cosiddetta “questione animale”, occorre risalire alla sua origine. Generalmente, la sua nascita viene fatta coincidere con l’introduzione dell’agricoltura nel Neolitico, circa 10.000 anni fa. L’esercizio del potere sulla natura (e, con l’avvento dell’allevamento, sugli animali) ha instaurato nell’uomo una sorta di ossessione megalomane che lo ha spinto, nel tempo, a sostenere il proprio dominio in maniera sempre più aggressiva. Personalmente, però, pur trovandomi d’accordo nel credere che l’agricoltura abbia dato una spinta decisiva e irreversibile al processo, tendo a ricondurre l’origine dell’ideologia del dominio alla nascita della caccia, intesa come attività sistematica ed istituzionalizzata nella vita degli uomini primitivi. Le ragioni di questo mio dislocamento sono molteplici: in primo luogo, i valori del cacciatore si sono gradualmente evoluti in valori del pastore e, poi, del guerriero, e proprio grazie a questa evoluzione hanno potuto penetrare nel tessuto sociale delle prime civiltà (intese nel senso moderno del termine). Inoltre, la stessa origine della caccia istituzionalizzata andrebbe riscontrata, almeno in parte, nel tentativo dell’uomo (maschio) di ristabilire l’equilibrio di status con le donne all’interno del proprio gruppo, attraverso una serie di processi psicologici legati all’uccisione e al consumo dell’animale, dettati dalle caratteristiche del paradigma dominante in quell’epoca, cioè quello animistico. Infine, l’istituzionalizzazione dell’attività venatoria ha costituito la prima forma di violenza sistematica sugli animali.
L’introduzione delle nozioni e dei valori dei cacciatori nelle prime civiltà, proprio nel momento in cui queste hanno iniziato a svilupparsi, non solo ha permesso all’ideologia del dominio di incanalarsi e sopravvivere nel corso della Storia, ma ha anche dato a quest’ultima la possibilità di orientare le evoluzioni culturali e sociali dell’uomo a tal punto che, oggi, tale ideologia si trova collocata alla base della nostra visione del mondo, che altro non è che una realtà costituita da sfruttamento, sia esso animale o umano, sofferenza e fatalismi, e un insieme di credenze che pongono l’uomo come categoria scissa dalla natura e superiore ad essa.
Di conseguenza, l’ideologia del dominio ha accompagnato all’incirca gli ultimi 20.000 anni della nostra specie sulla Terra. In questo modo, poiché essa si trova alle fondamenta della nostra società, ne crea le pratiche e le convinzioni, e la influenza senza che noi ce ne accorgiamo, poiché, come sostiene Melanie Joy, psicologa e docente di Psicologia e Sociologia presso l’Università del Massachusetts, “quando un’ideologia è radicata, è essenzialmente invisibile”.
A questo punto, lo studio critico dell’ideologia del dominio dovrebbe diventare una priorità da tenere in alta considerazione, dal momento che trovo veramente difficile, se non impossibile, poter discutere, valutare ed eventualmente distruggere un argomento se prima non lo si conosce. Essendosi inserita nel momento in cui la civiltà umana ha iniziato la sua “ascesa”, è possibile affrontare ed esaminare l’ideologia del dominio attraverso tutte le discipline e tutti i settori: dalla Psicologia alla Filosofia, dalla Biologia alla Storia dell’Arte e così via, ma, analogamente, la stessa ideologia pervade ognuno di questi campi. Così, anche affrontare la “questione animale” senza essere al corrente non solo dell’esistenza dell’ideologia del dominio, ma anche del suo funzionamento, può condurre ad un’analisi errata e/o parziale, con i risultati che ne conseguono. Tra i vari esempi, posso citare l’impreciso e discriminatorio utilizzo del linguaggio, l’incoerenza di molte azioni in contrasto concettuale e, soprattutto, l’impegno di alcuni per la salvaguardia e/o la rivalutazione morale dell’animale mantenendo, però, inalterato il paradigma antropocentrico. Tutto ciò, a sua volta, influenza le conseguenze dell’approccio con l’alterità non umana.
Attraverso lo studio dell’ideologia del dominio, invece, chi effettua l’analisi della “questione animale” e di altre tematiche strettamente collegate (come, ad esempio, il capitalismo, le dinamiche psicologiche delle attività belliche e di altre pratiche violente, il femminicidio, il razzismo, il sessismo e così via) si ritroverà consapevole delle caratteristiche di tale sistema ideologico e dei suoi assunti di base, il che non può che giovare al fine di un esame volto alla completezza e all’imparzialità, e condotto nel tentativo di liberarsi da quante più influenze possibile.