L’iniziativa intende sollecitare in ciascuno un senso di responsabilità di fronte al prossimo sofferente e bisognoso. Intervista a Maria Paglia
La data è simbolicamente significativa, il Giorno della Memoria 2021, e gli estensori l’hanno scelta non a caso per sottolineare la necessità di richiamare al senso di responsabilità di fronte al prossimo sofferente e bisognoso. Bisogna reagire all’indifferenza che rischia, come avvenne per la Shoah, di celare alle coscienze un dramma che riguarda tutta l’umanità. Franco A. Meschini, Chiara Guizzoni, Filippo Rametta e Maria Paglia firmano il Manifesto (*vedi testo in calce). Abbiamo chiesto a Maria Paglia di condividere l’idea che li ha mossi.
Quando e perché nasce l'esigenza di stilare un Manifesto di Prossimità?
Nell’attuale contesto di costante incertezza in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e problematico, parlare di prossimità potrebbe quasi sembrare una provocazione, ma noi abbiamo pensato e scritto questo Manifesto proprio nel giorno della memoria perché l’immane tragedia di allora è stata anche una tragedia dell’indifferenza.
Oggi, in una situazione, certo, diversa, con problemi diversi, ci èsembrato ancora una volta di esserci come impantanati in una nuova tragedia dell’indifferenza. È chiaro che in questa situazione, determinata dalla pandemia, non tutti hanno subito o subiscono gli stessi contraccolpi: famiglie colpite direttamente dal Covid, attività costrette a chiudere o che hanno visto ridurre drasticamente i propri guadagni, persone che hanno perso il lavoro, giovani che hanno abbandonato gli studi, tante altre situazioni di privazione, di difficoltà o di sofferenza.
Ciò che ci premeva e ci preme è che ciascuno di noi si ponga con responsabilità, mettendosi in questione, di fronte al prossimo sofferente e bisognoso. Questo manifesto, insomma, è un invito non solo a vedere, ma a ‘guardare’, non solo a sentire, ma a ‘prestare ascolto’, a considerare l’altro nella fragilità e vulnerabilità del momento attuale.
Questo manifesto è stato presentato anche in due webinar, uno promosso dalla Fondazione Italiana Gestalt e l’altro dall’Istituto Italiano di Bioetica, riscuotendo, ci pare, un notevole interesse.
Nel Manifesto osservate che ci sentiamo schiacciati dell'enormità dei problemi, che sembrano lontani ma in realtà ci riguardano tutti e tutte molto da vicino. L'osservazione che ponete nel Manifesto è "Non possiamo fare nulla per salvare il Mondo, ma possiamo fare qualcosa, dobbiamo fare qualcosa di concreto per aiutare chi ci sta vicino". Lo può spiegare?
L’attuale pandemia per la sua dimensione globale, che ha colto la maggioranza degli Stati impreparati, non solo ha impietosamente messo in evidenza la nostra comune vulnerabilità, dimostrandoci che il virus non conosce né muri, né altri tipi di barriere, ma ha anche reso temporaneamente efficace, sotto il profilo motivazionale, il sentimento della paura. La paura per un’infezione circolante, potenzialmente letale per noi stessi per i nostri cari, per i nostri vicini, ha fatto sì che si accettassero, senza rivolte, molte restrizioni delle nostre libertà e, segnatamente, i comportamenti impostici per il contenimento del contagio, quali il distanziamento sociale, il confinamento domiciliare ecc.
Se il pericolo si allontana e la paura si indebolisce, però, allora le differenze riemergono e separano. Differenze che comunque c’erano da prima, quei gradi diversi di vulnerabilità che ognuno di noi sperimenta nelle diverse fasi della vita, nelle diverse condizioni di salute, economiche o sociali che il destino gli assegna. Differenze che diventano disuguaglianze che l’epidemia e le misure prese per contenerla nell’immediato, apparentemente nascondono (tutti in pericolo, tutti chiusi in casa, tutti isolati), ma in realtà, soprattutto nel lungo periodo, si rafforzano. Non è lo stesso il lockdown del ricco con villa e giardino e del meno ricco in un appartamento di città, o del povero in due stanze senza balcone, o del senza tetto che non sa dove chiudersi. Non è lo stesso l’isolamento per il giovane e per l’anziano, per il sano e per il malato, per chi ha tutte le abilità e per chi ne ha persa qualcuna.
E dunque di fronte a questo cratere che ingoia posizioni sociali, risparmi di una vita, progetti per il futuro ed anche affetti, tutto diventa instabile e può anche “crollare”. Chi aiutava gli altri, può trovarsi nella situazione di dover essere aiutato lui stesso.
Ecco quindi l’invito rivolto a tutti di guardare al vicino, senza aspettare provvidenze dall’alto, rimboccandosi semplicemente le maniche!
Ciò non significa dimenticare i problemi del Mondo, no, ma forse indicare una strada per invitare a incontrare quei problemi a partire dalla prossimità. Come dimenticare, infatti, i tremila rifugiati nel nord-ovest della Bosnia-Erzegovina, costretti da giorni a dormire all'addiaccio in mezzo alla neve, come dimenticare i migranti che continuano a morire nel Mediterraneo. E gli zingari? Gli zingari che vivono nelle nostre città come stanno vivendo in questi giorni di freddo intenso e di pandemia? E i senzatetto e senza fissa dimora? Io penso che se siamo capaci di aiutare un vicino diventeremo più capaci di aiutare e non dimenticare e non restare indifferenti anche verso chi soffre lontano da noi.
Cosa intendete dire con questa affermazione: "prendere atto che la Società deve trovare in sé stessa quella forza morale, che sola può fare di una Nazione un popolo e una comunità di destino"?
È indubbio che la nostra società sia una società sfibrata, stanca, sfiduciata, disillusa. È come se tutti fossimo preda di un pregiudizio che per comodità possiamo chiamare proiettivista: nessuno di noi crede più negli altri, perché ciascuno di noi anziché prendere sul serio l’altro (dandogli fiducia) per quello che ci dice, proietta sull’altro ciò che pensa di lui e sospetta che quello che ci dice in realtà è finalizzato alla realizzazione di qualche suo recondito tornaconto. Questo accade nel dibattito politico, nella rappresentazione di questo dibattito, nell’analisi di questo dibattito ed anche nella nostra vita di tutti i giorni. La nostra Nazione non si sente un popolo, unito per esempio da una Costituzione, siamo divisi su tutto; e se c’è un’unità essa si costruisce contro, mentre invece noi tutti, e non solo chi è dentro i confini, ma chiunque si fa prossimo a noi, chiunque cerca in noi un aiuto, una difesa, un rifugio, ebbene noi tutti, uomini e donne, dobbiamo capire che siamo parte di un’unica comunità di destino. Oggi l’uomo ha il dovere di promuovere un’etica del prendersi cura in grado di dar voce alla condizione umana di radicale fragilità e vulnerabilità. Il prendersi cura, il to care, nasce dal naturale e prorompente appello alla propria coscienza nel riconoscere la presenza dell’altro. La realtà esistenziale di vulnerabilità, nella fragilità dell’essere umano, si traduce spesso nella dipendenza che si pone come condizione strutturale alla natura umana: è una dipendenza che non può essere superata né eliminata ma che rinvia alla necessità di progettare la sua integrazione all’interno di un contesto relazionale, fra individui e nell’ambito della società e, più in grande, come dice Edgard Morin, dare vita ad una comunità di destino.
Partire dunque da una condizione di fragilità per trovare un fondamento di comunità: il riconoscimento della vulnerabilità ti fa uscire da una prospettiva individualistica per accedere ad una visione relazionale. Insomma una responsabilità collettiva gli uni degli altri (nessuno si salva da solo, siamo tutti interconnessi). La paura del pericolo comune può consolidare l’idea che bisogna fare comunità, gruppo, un fronte comune e dunque ‘produrre’ una comunità di destino. Le differenze tra individui in questo contesto svaniscono per lasciare il posto alla comunanza: dall’essere ciascuno di noi in pericolo all’essere tutti noi tesi a fronteggiarlo.
Franco A.Meschini, Università del Salento
Chiara Guizzoni, psicoterapeuta
Filippo Rametta, psicoterapeuta, direttore Scuola di Formazione della Fondazione Italiana Gestalt
Maria Paglia, Istituto Italiano di Bioetica
MANIFESTO DI PROSSIMITÀ
In questo momento di gravi e inedite difficoltà per il Paese, difronte ad una classe politica che stenta a trovare soluzioni efficaci e tempestive, la Società non può restare a guardare, spettatrice passiva di una situazione che ogni giorno volge al peggio, senza che si veda all’orizzonte alcuna via d’uscita.
È necessario che la Società trovi in sé stessa la forza di reagire. Questo è il momento della solidarietà, che fa appello alla coscienza di ciascuno di noi. Volgere ora lo sguardo altrove o dire non è compito mio significa permettere che si ripeta ciò che troppo spesso è accaduto nella storia, nella nostra storia: lasciare chi mi è vicino da solo, a combattere contro le avversità. Scongiuriamo una nuova tragedia della prossimità!
Il costante e massiccio flusso di informazioni ci mette difronte ogni giorno, ogni momento, ai problemi del Paese, dell’Europa, del Mondo inducendo in tutti noi sentimenti che vanno dalla compassione all’indignazione e, al tempo stesso, portano ciascuno di noi a sentirsi impotente, poiché quei problemi sono lontani, generali e quindi astratti.
È necessario tornare a guardarsi attorno, guardare a ciò che accade vicino a noi. Non possiamo fare nulla per salvare il Mondo, ma possiamo fare qualcosa, dobbiamo fare qualcosa di concreto per aiutare chi ci sta vicino.
È chiaro a tutti che in questa situazione, determinata dalla pandemia, non tutti hanno subito o subiscono gli stessi contraccolpi: famiglie colpite direttamente dal Covid, attività costrette a chiudere o che hanno visto ridurre drasticamente i propri guadagni, persone che hanno perso il lavoro, giovani che hanno abbandonato gli studi, tante altre situazioni di privazione, di difficoltà o di sofferenza. Occorre trovare nella Società quella volontà unitiva che nel nostro Paese la classe politica raramente ha perseguito e che oggi sembra completamente smarrita.
Non si vuole in alcun modo demonizzare la politica, che resta momento imprescindibile nella vita della Nazione, né scavalcare le istituzioni, ma prendere atto che la Società deve trovare in sé stessa quella forza morale, che sola può fare di una Nazione un popolo e una comunità di destino e, infine, ridare alla politica quelle idealità che sembra aver perso.
Che cosa fare, dunque? È necessario fare appello alle nostre risorse, morali e materiali, e farci vicini a chi ha bisogno. È il momento di una solidarietà prossimale: chi può e vuole, si prenda cura di un’attività in sofferenza nella propria via, di una famiglia in difficoltà nel proprio quartiere, del proprio vicino, insomma, di chiunque nel vicinato abbia bisogno.
Come fare? Possiamo organizzarci in comitati, in gruppi, possiamo agire ciascuno per proprio conto, possiamo rivolgerci a organizzazioni caritative del territorio, ad associazioni di volontariato. Ciascuno inventi qualcosa. Nessuno sfugga alla responsabilità che ciascun essere umano ha verso chi è nel bisogno e nella sofferenza.
Maria Paglia
Franco A. Meschini
Chiara Guizzoni
Filippo Rametta
Scritto nel Giorno della Memoria 2021