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Il focus del Festival di Bioetica (Santa Margherita Ligure, 26/27 agosto 2024), giunto alla ottava edizione, si concentra sul tema INTELLIGENZE osservato da vari punti di vista e nell'impatto che l'IA ha giù avuto, e avrà, a seconda dei settori in cui è, o sarà, applicata.
Il campo di ricerca di Giorgio Vallortigara, professore ordinario presso l'Università di Trento, è quello dell'intelligenza negli animali (la cognizione animale, lateralizzazione e memoria nel cervello dei vertebrati, evoluzione delle asimmetrie cerebrali, cognizione spaziale, neurobiologia della memoria spaziale, percezione visiva). Al Festival è previsto un suo intervento nel panel dedicato al dibattito sull'intelligenza degli animali e su questi temi lo abbiamo interpellato.
Sulla base dei suoi studi sugli animali, come può definire la coscienza e come l'intelligenza?
L'intelligenza è la capacità di risolvere problemi. Una capacità che può richiedere l'uso di una molteplicità di processi cognitivi differenti - percepire, apprendere, memorizzare, decidere - oltre che di pulsioni motivazionali ed emozioni. Nella sua forma più elementare un atto di intelligenza si riduce a questo: c'è un obiettivo da raggiungere, ma qualcosa si frappone al suo raggiungimento, per cui è necessaria una qualche forma di aggiramento, di detour, di allontanamento temporaneo dall'obiettivo o comunque di un'azione inibitoria sul comportamento.
La coscienza, invece, è tutt'altra cosa rispetto ai processi cognitivi: è la capacità di sentire qualcosa, di provare qualcosa, in sostanza di avere esperienze. Apparentemente la coscienza non è necessaria ai processi cognitivi, la gran parte della vita mentale (inclusa la risoluzione dei problemi) avviene con il pilota automatico, in assenza di coscienza.

Cosa differenzia la coscienza degli animali da quella degli umani?
Per quel che riguarda la capacità di avere esperienze non c'è differenza. Ci sono cose nel mondo che hanno esperienze - che sentono qualcosa - come ad esempio gli animali, e altre cose invece no, ad esempio i sassi. I contenuti delle esperienze naturalmente possono essere diversi, quelli di un millepiedi e quelli di uno scimpanzé sono probabilmente perché hanno corpi e cervelli assai diversi, e perché hanno avuto storie di sviluppo diverse. Ma i contenuti delle esperienze variano anche all'interno di una stessa specie, non sono i medesimi quelli di un neonato e di un adulto umano, anche se entrambi provano qualcosa.

Perché ha dedicato particolare attenzione al cervello dei pulcini?
Mi interessava capire che cosa c'è nel cervello in partenza, allo stato nascente per così dire. Capire se gli organismi siano tabule rase o siano invece già ricchi di conoscenze in partenza, predisposte dall'evoluzione biologica e scritte perciò nel genoma. Gli animali a prole atta, come i polli (ma ce ne sono molti altri sia tra gli uccelli che tra i mammiferi), offrono il vantaggio di essere già maturi dal punto di vista sensoriale e motorio alla nascita, così che si possono studiare in condizioni controllate per ciò che attiene alle loro conoscenze pregresse. Studiando i pulcini appena usciti dall'uovo abbiamo visto che posseggono da subito, senza bisogno di un apprendimento, una concezione di che cosa siano gli oggetti, di come siano disposti nello spazio e con quali numerosità, così come molte altre sapienze ancora.

Intervista a cura di Tiziana Bartolini

 

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