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Il 27 e 28 agosto 2022 si tiene la sesta edizione del Festival di Bioetica, organizzata come ogni anno a Santa Margherita Ligure dall'Istituto Italiano di Bioetica. Chiediamo alla professoressa Luisella Battaglia, ideatrice della manifestazione, di introdurci al tema che è al centro di questo appuntamento: La Responsabilità, in relazione alle connessioni con l’approccio bioetico.

Nel suo ultimo libro 'Bioetica' (ed Bibliografica, 2022) riassume, appunto, i temi affrontati nelle varie edizioni del Festival e porge al lettore profonde osservazioni sull'importanza della bioetica, come chiave di lettura del mondo e degli interrogativi che i cambiamenti ci pongono. Perché non si può fare a meno della Bioetica?
La scelta dell’argomento del Festival di quest’anno è legata al fatto che la responsabilità è ormai divenuta la parola chiave del presente e del futuro. In che mondo vivremo? Lo sviluppo tumultuoso delle scienze e delle tecnologie pone problemi inediti riferibili non solo alle zone di frontiera dell’esistenza umana - come la nascita e la morte - ma anche alla vita quotidiana di tutti noi. È la prima volta nella storia che l’umanità nella sua universalità è implicata in un processo irreversibile di trasformazione della natura e di se stessa. Da qui la necessità - per riprendere le parole del filosofo Hans Jonas - di un ‘etica per la civiltà tecnologica’, compito primario cui è chiamata la bioetica. Ciò implica la ricerca di principi che ci mettano in grado di occuparci di questioni di cui l’umanità non si era mai occupata prima. I poteri che abbiamo acquisito esigono infatti, per la loro stessa ampiezza spazio-temporale, una nuova idea della responsabilità - una responsabilità ampia che arrivi fin dove arrivano le nostre capacità e che quindi tenga conto della dimensione planetaria delle nostre azioni e dell’impatto che avranno sulle generazioni future e sulle altre specie. Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano potrebbe, secondo Jonas, suonare così: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. Oppure, tradotto in negativo: “Agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita”. Per questo, se intendiamo l’agire umano come un immenso campo di realizzazione dei possibili, non potremmo esimerci dal determinare, tra quei possibili, quali è lecito realizzare, quali debbono esserlo, quali infine non debbono esserlo. Regolamentare - va detto con estrema chiarezza - non significa opporsi al progresso della scienza e della tecnologia: significa solo che vi sono fini e valori globali d’importanza primaria che occorre salvaguardare e che esulano dal più ristretto campo dell’impresa tecnologica, nella consapevolezza che lo sviluppo tecno-scientifico dovrebbe essere vincolato al criterio della salvaguardia della dignità e dell’integrità dell’uomo e degli altri viventi.

Un evento che giunge alla sesta edizione ha maturato un curriculum di tutto rispetto. È anche interessante elencare i temi che negli anni sono stati affrontati: La Giustizia (2021), La Cura (2020), Il Futuro (2019), La Felicità (2018), La Salute (2017). Guardando questo percorso, quali riflessioni si sente di condividere?
Guardando al percorso complessivo del Festival mi sembra di poter identificare, nella varietà dei temi affrontati, l’affermazione di un’idea della bioetica come “scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema”, secondo la definizione del medico oncologo Van Potter in un celebre testo del 1971, “Bioethics: a Bridge to the Future”. La sua visione conteneva un’intuizione precorritrice, quella di una bioetica globale in cui medicina, biologia,scienze della vita,ecologia, etologia entravano in dialogo con la filosofia e con l’etica per realizzare un incontro tra “le due culture”: l’area scientifica e l’area umanistica. Oggi, a causa dell’emergenza pandemica - che ci ha messo con lo spillover di fronte alla strettissima interrelazione tra problemi relativi alla salute umana, ambientale e animale (non a caso si parla di One Health) - siamo in grado di valutare l’importanza di una prospettiva globale e della necessità di un approccio interdisciplinare - esemplato più modernamente dal pensiero della complessità di Edgar Morin - per dare risposte adeguate alle sfide che ci attendono.Seguendo questo approccio il Festival ha inteso attivare una riflessione critica sui problemi posti dalla “rivoluzione biologica” con le nuove possibilità offerte dalle biotecnologie per la nostra vita. Da qui una serie di interrogativi affrontati nelle varie edizioni: come concepire l’idea di salute in relazione alle prospettive aperte dai progressi della medicina? Come uscire dal ‘presentismo’ e fare “esercizi di futuro’a partire dai cambiamenti epocali di cui siamo testimoni? Come ridefinire il concetto di prossimo e quindi i confini del nostro universo morale? Come ripensare l’idea di felicità passando dal ‘benessere’ al ‘benvivere’? Come rivendicare la centralità della cura in ambito etico e politico? Come delineare le nuove frontiere della giustizia in nome dei soggetti più vulnerabili? Questioni che ci chiamano a un ripensamento dell’etica, della politica, dell’economia, del diritto in termini sia domestici che planetari e in relazione a parametri che dovrebbero corrispondere agli interessi non solo dell’umanità attuale ma anche delle generazioni future, dell’ambiente e degli animali non umani. Per questo la bioetica è chiamata in causa.

Professoressa Battaglia, il tema della Responsabilità è davvero molto ampio e si presta ad essere affrontato da molti punti di vista. Quale sarà l'approccio che è stato scelto per la due giorni del Festival 2022?
La bioetica resta ancora per molti un termine misterioso, un neologismo oscuro che sembra alludere a una sorta di ibrido tra la biologia e l’etica, associato spesso a immagini inquietanti, dal mito originario di Pandora al fantasma onnipresente di Frankenstein: immagini tutte destinate a ingenerare timore e a invitare all’astensione. Come definire dunque la bioetica al di là del sensazionalismo dei mass media? Semplicemente come un’etica della scienza che ha per oggetto di studio i problemi morali, giuridici, sociali indotti dagli sviluppi della biologia e, in genere, delle scienze della vita. Più che una vera e propria disciplina, potrebbe quindi considerarsi un campo di indagine in cui si incontrano le più diverse discipline chiamate a riflettere su un tema centrale - il bios, il mondo della vita - alla luce di un fuoco d’interesse unitario, quello etico.La stessa complessità delle questioni affrontate è infatti tale che la considerazione di tutti i loro aspetti (filosofici, giuridici, psicologici, economici etc.) esige una pluralità di competenze e, quindi, la partecipazione di studiosi delle più varie aree di ricerca. Da qui la sua vocazione interdisciplinare. Ma altrettanto importante è il suo ruolo di etica applicata, chiamata a elaborare proposte concrete e a promuovere iniziative in ambito sociale e politico. Si tratta di quello che chiamerei il ruolo “creativo” della bioetica che anima fin dalle sue origini, nel 1993, l’Istituto Italiano di Bioetica. Una delle proposte più recenti, che sarà al centro del dibattito e delle riflessioni del Festival, è quella dell’introduzione nel nostro paese dello Spazio etico, un organismo modellato sull’esempio dell’Espace ethique de l’assistence publique, operante in Francia da circa un trentennio. Inteso come luogo di ascolto e di incontro in diversi ambiti (sanitario, scolastico, giudiziario, carcerario) si propone di dar voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano al fine di favorire il dialogo e il confronto delle idee, di condividere esperienze di vita e di contribuire allo sviluppo di un “welfare di comunità” in grado di costruire nuove forme di assistenza e di cura. Sono questi i temi a cui l’Istituto ha dedicato negli anni una costante attenzione. Centrale, ancora una volta, è la questione della vulnerabilità - intesa sia come condizione specifica di soggetti deboli che richiedono particolare protezione, sia anche, e soprattutto, come riconoscimento di una condizione strutturale che accomuna tutti i viventi - e la risposta positiva di un’etica della cura in cui ravvisare la vocazione più autentica dell’umano.

Intervista a cura di Tiziana Bartolini

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