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Per parlare di adozione dovremmo partire dalla ferita originaria dell’abbandono, una ferita pressocché insanabile, che può essere curata ma mai del tutto guarita, e quindi tale da generare disturbi psichici ed emotivi che spesso si traducono in atteggiamenti aggressivi e provocatori contro gli adulti e, nelle situazioni più gravi, espongono i minori a rischi di devianze. Da qui le crisi che sovente si “risolvono” attraverso allontanamenti temporanei dai genitori adottivi ma che danno anche origine al fenomeno sempre più preoccupante delle adozioni interrotte o fallite, un fenomeno che non è sufficientemente monitorato dalle istituzioni competenti anche se si calcola che circa il 20% dei bambini che entrano in comunità provengano da “fallimenti” affidatari e adottivi. Un esito estremo su cui tutti siamo chiamati responsabilmente a riflettere dal momento che la restituzione ai servizi sociali fa rivivere al minore il trauma dell’abbandono, acuendo i sintomi di depressione o accentuando l’aggressività verso gli adulti per l’ennesimo rifiuto vissuto.
Per questo è importante non arrivare impreparati A questo punto si pone la domanda cruciale: chi prepara le coppie ad accogliere un bambino? Bisogna attrezzarsi per l’accoglienza di un figlio ed essere pronti ad affrontare le complesse problematiche di un percorso non facile. I corsi di orientamento e di formazione all’adozione dovrebbero incrementarsi e essere resi obbligatori, mentre oggi sono ancora facoltativi e non vengono proposti ovunque. All’inizio si crede che basti l’amore incondizionato e si tende a minimizzare le difficoltà che invece ci saranno inevitabilmente. Ed ecco l’altra domanda: chi sostiene le coppie nella fase successiva all’adozione? La crisi adottiva si manifesta inevitabilmente ma dovrebbe essere vissuta come una fase di passaggio che è possibile affrontare con strumenti adeguati, spiegando anticipatamente alle coppie i disturbi che i bambini potrebbero avere. Le coppie tendono ad arrangiarsi quando hanno problemi ma spesso si colpevolizzano e si sentono giudicate per la loro inadeguatezza. Per questo occorrerebbe sviluppare una strategia proattiva affinché le famiglie non si chiudano in sé stesse e si sentano abbandonate nella loro solitudine, creando una rete strutturata di interventi da parte dei servizi pubblici e garantendo un servizio di sostegno specifico con operatori adeguatamente formati. Uno strumento utile per superare le difficoltà nella relazione con i figli adottivi e per accompagnare le famiglie nelle varie fasi del percorso adottivo sono anche i gruppi di mutuo aiuto organizzati dalle associazioni anche in collaborazione con Comuni e Aziende Sanitarie locali. Occorre imparare a chiedere aiuto, avendo tuttavia l’avvertenza di costruire una rete di ascolti fin dall’inizio, quando ancora non si sono manifestate le difficoltà, evitando un errore comune, quello di contattare l’associazione quando la situazione è ormai divenuta insostenibile.
E qui giungiamo al quesito davvero cruciale. Quanto è oggi sostenuta socialmente l’adozione? Qual è il valore etico e sociale che le viene attribuito? A giudicare da quanto fin qui detto, molto scarso. L’adozione viene abitualmente sentita come l’appagamento di un desiderio di genitorialità e confinata nell’ambito del privato laddove essa riguarda anche l’ambito pubblico, rispondendo alla richiesta fondamentale di dare al minore una famiglia, un suo vero e proprio diritto. Rivendicare questa dimensione non significa in alcun modo trascurare la motivazione personale e affettiva che la anima, ma valorizzare insieme un suo aspetto che rinvia alla dimensione etica, a quell’idea di cura che dovrebbe essere al centro della vita pubblica e in cui dovrebbe risiedere – è la grande lezione di Heidegger – la vocazione più profonda di ogni essere umano.

 

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