Genova, P.zza Verdi 4/4 - 16121

 
MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Pre Festival di Bioetica 2024

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Gli incontri registrati

Video incontri e convegni dell'Istituto Italiano di Bioetica

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11 ottobre 2012
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Sen. Mario MONTI
Egregio Presidente,
Le scriviamo a proposito della sentenza della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo 28 agosto 2012
relativa alla legge 40/2004, per invitare il governo da Lei presieduto a non presentare ricorso contro di
essa. Le ragioni per questo appello sono molteplici.
Innanzitutto, presentarlo potrebbe far credere che in Italia non si possono effettuare, in base alla legge 40,
le diagnosi preimpianto. Ciò sarebbe un atto di forte ipocrisia politica rispetto a quanto già oggi avviene
nel nostro paese sulla base di numerosissime sentenze della magistratura e addirittura sulla base di
quanto prevedono le vigenti linee guida ministeriali. Di fatto, diagnosi del genere vengono praticate alla
luce del sole da una dozzina di strutture specializzate diffuse sul territorio nazionale (con la copertura
dell'art.2 della Costituzione).
In secondo luogo, è indubbia la contraddizione evidenziata dalla Corte di Strasburgo tra il disposto della
legge 194/1978 e quello della legge 40/2004. E' assurdo vietare la diagnosi preimpianto ai portatori sani
di malattie genetiche, considerato che la legge 194/1978 (definita dalla Corte Costituzionale legge a
contenuto costituzionalmente necessario oltre che vincolato) stabilisce che la diagnosi di
malconformazione fetale, quando determina un rischio per la salute psicologica della madre, autorizza la
scelta di interrompere la gravidanza.
Del resto, le numerosissime sentenze negative relative alla legge 40, mostrano che essa è una gabbia –
costruita con storture costituzionali, giuridiche, scientifiche e logiche – per i diritti della convivenza reale
di cittadini liberi. Il garantire i diritti dell’autodeterminazione delle scelte individuali costituisce l’opposto
dell’eugenetica, che è imposizione tipica dello Stato autoritario.
In terzo luogo, il fatto che il giudizio della Corte Europea dei Diritti non sia nella fattispecie mosso da un
precedente pronunciamento della magistratura italiana, costituisce un significativo e concreto passo verso
il principio che i diritti umani vengono garantiti in ambito europeo senza il bisogno dalla preventiva
intermediazione dei singoli stati, una intermediazione che obiettivamente è un freno concettuale e
temporale nei confronti della cittadinanza europea.
Per tutti questi motivi, i sottoscritti fanno appello a Lei nella sua qualità di Presidente del Consiglio
perché non presenti ricorso verso la Sentenza citata, compiendo così un ulteriore atto di rispetto
istituzionale e aprendo la strada a risolvere il problema delle indagini genetiche con gli incontri di esperti
veri e competenti, quali che siano le loro convinzioni in campo etico e religioso.
Con i migliori saluti
Bancale Paolo De Benedetti Alberto Morelli Raffaello
Battaglia Luisella Del Giacco Sergio Mori Maurizio
Bonetti Paolo Flamigni Carlo Pellegrini Graziella
Carcano Raffaele Gaggiotti Stefano Pievani Telmo
Cazzaniga Gianmario Giorello Giulio Pocar Valerio
Chiarenza Franco Grillini Franco Polacco Gadiele
Cofrancesco Dino Kostoris Fiorella Prodomo Raffaele
Colantuoni Antonio La Torre M. Antonetta Riccio Mario
D'Agostino Gianluigi Lariccia Sergio Zanone Valerio
D'Amico Marilisa Massarenti Armando
28 Novembre 2012
Il Governo italiano ha depositato presso la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, quale Giudice di seconda istanza, la domanda per il riesame della sentenza 28 agosto 2012 con cui era stato accolto, in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, il ricorso n. 54270/2010. La decisione italiana di presentare la domanda di rinvio alla Grande Chambre della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo si fonda sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale, e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi.
La domanda di rinvio, infatti, si è resa necessaria in quanto l’originaria istanza è stata avanzata direttamente alla Corte europea per i diritti dell’uomo senza avere prima esperito – come richiede la Convenzione – tutte le vie di ricorso interne e senza tenere nella necessaria considerazione il margine di apprezzamento che ogni Stato conserva nell’adottare la propria legislazione, soprattutto rispetto a criteri di coerenza interni allo stesso ordinamento.
La Corte ha deciso di non rispettare la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, ritenendo che il sistema giudiziario italiano non offrisse sufficienti garanzie.
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 28 agosto 2012 - Ricorso n.54270/10 - Causa Costa e Pavan c. Italia
Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico e da Rita Pucci, funzionario linguistico.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA COSTA E PAVAN c. ITALIA
(Ricorso no 54270/10)
SENTENZA
STRASBURGO
28 agosto 2012
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Costa e Pavan c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’Uomo, (seconda sezione), riunita in una camera composta da::
Françoise Tulkens, presidente,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
Danutė Jočienė,
Işıl Karakaş, giudici supplenti,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 10 luglio 2012,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All'origine della causa vi è un ricorso (no 54270/10) proposto contro la Repubblica italiana con cui due cittadini di questo Stato, la sig.ra Rosetta Costa e il sig. Walter Pavan ("i ricorrenti"), hanno adito la Corte il 20 settembre 2010 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. I ricorrenti sono rappresentati dagli avvocati Nicolò Paoletti e Ginevra Paoletti del foro di Roma. Il governo italiano ("il Governo") è rappresentato dal suo agente, sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, sig. P. Accardo.
3. I ricorrenti, portatori sani della mucoviscidosi, lamentano di non poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto al fine di selezionare un embrione che non sia affetto da tale patologia e sostengono che a tale tecnica possono accedere categorie di persone delle quali essi non fanno parte. A questo titolo invocano gli articoli 8 e 14 della Convenzione.
4. Su richiesta dei ricorrenti, il 4 maggio 2011, il presidente ha deciso di trattare il ricorso con priorità (articolo 41 del regolamento).
5. Il 7 giugno 2011 questo ricorso è stato comunicato al Governo. Come consente l'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.
6. In applicazione dell'articolo 44 § 3 del regolamento, il 31 agosto ed il 7 novembre 2011, il presidente ha accolto rispettivamente due domande di intervento di terzi. La prima è stata presentata dal sig. Grégor Puppinck a nome del Centro Europeo per la Giustizia e i Diritti dell'Uomo (ECLJ), dell'associazione di "Movimento per la vita" e di cinquantadue parlamentari italiani (qui di seguito, "il primo dei terzi intervenienti") e, la seconda, è stata introdotta dall'avv. Filomena Gallo in nome delle associazioni "Luca Coscioni", "Amica Cicogna Onlus", "Cerco un bimbo", "L’altra cicogna" e di sessanta parlamentari italiani ed europei (qui di seguito, "il secondo dei terzi intervenienti"). I terzi intervenienti hanno presentato le loro osservazioni rispettivamente il 22 settembre ed il 28 novembre 2011.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
7. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1977 e 1975 e risiedono a Roma.
8.Dopo la nascita della loro figlia, nata nel 2006, i ricorrenti appresero di essere portatori sani della mucoviscidosi . La figlia era stata colpita da questa patologia.[1]
9. Nel mese di febbraio 2010, avendo iniziato una seconda gravidanza, i ricorrenti, desiderosi di procreare un figlio che non fosse colpito dalla malattia di cui erano portatori, eseguirono una diagnosi prenatale dalla quale risultò che il feto era affetto dalla mucoviscidosi. Decisero quindi di effettuare una interruzione medica di gravidanza ("I.M.G.").
10.I ricorrenti vorrebbero ora accedere alle tecniche della procreazione medicalmente assistita ("P.M.A.") e ad una diagnosi genetica preimpianto ("D.P.I.") prima che la ricorrente inizi una nuova gravidanza. Tuttavia, ai termini della legge n° 40 del 19 febbraio 2004, le tecniche della procreazione medicalmente assistita sono accessibili soltanto alle coppie sterili o infertili. La diagnosi preimpianto è vietata a ogni categoria di persone.[2]
11. Con un decreto dell' 11 aprile 2008, il Ministero della Salute ha esteso l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie in cui l'uomo è affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili (quali il virus dell'H.I.V, dell'epatite B e C.) allo scopo di permettere loro di procreare senza il rischio di trasmettere la malattia virale alla donna e/o al feto possibile in caso di procreazione secondo natura.
12.Stando alle informazioni fornite dal Governo e dal primo dei terzi intervenienti, questa operazione si effettua attraverso il "lavaggio di sperma" ad uno stadio precedente a quello della creazione dell'embrione in vitro.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
1. Legge no 40 del 19 febbraio 2004 ("Norme in materia di procreazione medicalmente assistita")
Articolo 4 § 1
Accesso alle tecniche
« Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico. [...] »
Articolo 5 § 1
Requisiti soggettivi
« [...] possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. »
Articolo 14 § 5
Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni
« I soggetti di cui all'articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero. »
2. Decreto del ministero della Salute no 15165 del 21 luglio 2004
Misure di tutela dell'embrione
« [...] Ogni indagine riguardante lo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, [della legge n° 40 del 2004] dovrà essere di tipo osservazionale. [...] »
3. Decreto del Ministero della Salute no 31639 dell'11 aprile 2008
13. In questo decreto, il riferimento alle finalità "di osservazione" menzionate nel decreto del Ministero della Salute no 15165 del 21 luglio 2004 è stato eliminato.
14. Inoltre, la parte di questo decreto che riguarda la certificazione dello stato di infertilità o sterilità prevede che, ai fini dell'accesso alle tecniche della procreazione medicalmente assistita, quest'ultima deve essere effettuata:
« [...] tenendo conto anche di quelle peculiari condizioni in presenza delle quali - essendo l'uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, epatite B e C - l'elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l'adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità', da farsi rientrare tra i casi di infertilità' maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all'art. 4, comma 1della legge n. 40 del 2004».
4. La sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio no 398 del 21 gennaio 2008
15. Con questa sentenza, il tribunale annullò per eccesso di potere la parte del decreto del Ministero della Salute no 15165 del 21 luglio 2004 che limitava qualsiasi indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro ai soli fini osservazionali. In particolare il tribunale considerò che la competenza per stabilire il campo di applicazione delle indagini in questione spettasse soltanto al legislatore e non al Ministero in quanto quest'ultimo disponeva di semplici poteri esecutivi.
5. L'ordinanza del tribunale di Salerno no 12474/09, depositata il 13 gennaio 2010
16. Con questa ordinanza, al termine di una procedura d'urgenza, il giudice designato del tribunale di Salerno autorizzò per la prima volta una coppia di genitori, non sterili e non infertili, portatori sani dell'atrofia muscolare, ad accedere alla diagnosi preimpianto.
17. In particolare il giudice ricordò le novità introdotte dal decreto del Ministero della Salute no 31639 dell'11 aprile 2008, ossia il fatto che le indagini sullo stato di salute degli embrioni creati in vitro non erano più limitate ai soli fini osservazionali e che l'accesso alla procreazione assistita era autorizzato per le coppie in cui l'uomo era portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili.
18. Ritenne quindi che la diagnosi preimpianto non potesse che essere considerata come una delle tecniche di monitoraggio prenatale con finalità conoscitiva della salute dell'embrione. Il divieto di accesso a tale pratica comportava quindi, nel caso dei richiedenti, la responsabilità medica del direttore sanitario del Centro di Medicina della Riproduzione, parte resistente nella procedura, per mancata esecuzione di una prestazione sanitaria.
19. Il giudice considerò anche irragionevole non garantire alla madre il diritto a conoscere se il feto fosse malato tramite diagnosi preimpianto mentre le veniva riconosciuto il diritto di abortire un feto malato.
20. Il giudice ordinò quindi al direttore sanitario di eseguire la diagnosi preimpianto sull'embrione in vitro dei richiedenti per verificare se quest'ultimo fosse affetto da atrofia muscolare.
III. IL DIRITTO EUROPEO PERTINENTE
1. La Convenzione del Consiglio d'Europa sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina ("Convenzione di Oviedo") del 4 aprile 1997
21. Questa Convenzione nelle sue parti pertinenti è così formulata:
Articolo 12 – Test genetici predittivi
« Non si potrà procedere a dei test predittivi di malattie genetiche o che permettano sia di identificare il soggetto come portatore di un gene responsabile di una malattia sia di rivelare una predisposizione o una suscettibilità genetica a una malattia se non a fini medici o di ricerca medica, e con riserva di una consulenza genetica appropriata. »
22. Il § 83 del Rapporto esplicativo alla Convenzione di Oviedo dispone così:
L’articolo 12, di per sé, non prevede alcun limite al diritto di eseguire test diagnostici su un embrione per stabilire se è portatore di caratteri ereditari che comporteranno una malattia grave per il bambino che dovrà nascere.
23. La Convenzione di Oviedo, firmata il 4 aprile 1997, non è stata ratificata dal governo italiano.
2. La direttiva 2004/23CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione Europea del 31 marzo 2004
24. Questa direttiva ha stabilito uno standard minimo di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, prevedendo così l'armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia. Essa riguarda anche gli embrioni oggetto di trasferimenti nell'ambito della diagnosi genetica preimpianto.
3.Il documento di base sulla diagnosi preimpianto e prenatale pubblicato dal Comitato direttivo per la bioetica (CDBI) del Consiglio d'Europa il 22 novembre 2010 (CDBI/INF (2010) 6)
25. Il CDBI ha elaborato questo rapporto allo scopo di fornire informazioni sulla diagnosi preimpianto e prenatale e sulle questioni giuridiche ed etiche che l'utilizzo di queste diagnosi solleva in diversi paesi europei. Gli estratti pertinenti di questo documento sono così formulati:
[a) Contesto]
« La fecondazione in vitro è praticata dalla fine degli anni 70 per aiutare le coppie che hanno problemi di sterilità. I progressi della medicina della riproduzione offrono oggi nuovi mezzi per evitare le malattie genetiche, grazie al trasferimento selettivo degli embrioni. All'inizio degli anni '90, la diagnosi genetica preimpianto (D.P.I) in quanto procedura sperimentale è stata introdotta come alternativa possibile alla diagnosi genetica prenatale (D.P.N.) per le coppie che rischiavano di trasmettere una anomalia genetica particolarmente grave, risparmiando loro in questo modo una scelta difficile sulla eventuale interruzione di gravidanza.. »
[b) Il ciclo della diagnosi preimpianto]
« Un "ciclo di diagnosi preimpianto" prevede le seguenti tappe: la stimolazione ovarica, il prelievo di ovociti, la fecondazione in vitro di più ovociti maturi […], il prelievo di 1 o 2 cellule embrionali, l'analisi genetica dei materiali del nucleo delle cellule prelevate e, infine, la selezione e il trasferimento di embrioni non portatori dell'anomalia genetica in questione. »
[c) Utilizzo della diagnosi preimpianto]
« Il ricorso alla diagnosi preimpianto per indicazioni mediche è stato richiesto da coppie che presentavano un elevato rischio di trasmissione di una specifica malattia genetica di particolare gravità […] e incurabile al momento della diagnosi. Questo rischio era stato spesso individuato sulla base dei precedenti familiari o dalla nascita di un bambino affetto dalla malattia. Numerose indicazioni monogeniche rispondono attualmente a questi criteri che giustificano l'esecuzione di una diagnosi preimpianto: la mucoviscidosi, la distrofia muscolare di Duchenne, la distrofia miotonica di Steinert, la malattia di Huntington, la amiotrofia spinale infantile e l'emofilia." »
« Nei paesi in cui è praticata, la diagnosi preimpianto è diventata una metodica clinica ben sperimentata per analizzare le caratteristiche genetiche degli embrioni dopo fecondazione in vitro e per ottenere informazioni che consentano di selezionare gli embrioni da trasferire. La diagnosi preimpianto è richiesta principalmente dalle coppie portatrici di caratteri genetici che possono trasmettere ai loro discendenti malattie gravi o provocare decessi prematuri, che desiderano evitare una gravidanza che potrebbe non arrivare a termine o porli di fronte alla scelta difficile di una eventuale interruzione nel caso venga rilevato un problema genetico particolarmente grave. »
4. Il rapporto « Preimplantation Genetic Diagnosis in Europe » redatto dal JRC (Joint Research Centre) della Commissione europea, pubblicato nel dicembre 2007 (EUR 22764 EN)
26. Da questo rapporto risulta che coloro che richiedono la diagnosi preimpianto, che sono cittadini di paesi in cui questa pratica è vietata, si recano all'estero per effettuare la diagnosi in questione. Gli italiani per la maggior parte si dirigono verso la Spagna, il Belgio, la Repubblica Ceca e la Slovacchia.
27.Questo studio evidenzia anche l'incoerenza dei sistemi che vietano l'accesso alla diagnosi preimpianto e autorizzano l'accesso alla diagnosi prenatale e all'aborto terapeutico per evitare patologie genetiche gravi al bambino.
5. Rapporto consuntivo riguardante le malattie rare e l'urgenza di un'azione concertata (Parlamento europeo 23 aprile 2009)
28. Il comunicato stampa di questo rapporto nelle parti pertinenti è formulato come segue:
« I deputati ritengono che un'azione concertata nel campo delle malattie rare a livello dell'UE e a livello nazionale sia una necessità assoluta. Essi sottolineano che l'attuale quadro legislativo dell'UE sia poco adatto a queste malattie e inoltre mal definito. Benché le malattie rare contribuiscano fortemente alla morbilità e alla mortalità, esse sono praticamente assenti dai sistemi informativi dei servizi sanitari per mancanza di adeguati sistemi di identificazione e classificazione […]. In particolare il Parlamento desidera incoraggiare gli sforzi consentiti per prevenire le malattie rare ereditarie tramite consulenze genetiche ai genitori portatori della malattia; e, quando necessario, "fatta salva la legislazione nazionale vigente e sempre su base volontaria, una selezioni di embrioni sani prima dell'impianto". »
6. Elementi di diritto comparato
29.I documenti di cui la Corte dispone (ossia i rapporti del Consiglio d'Europa e della Commissione Europea in materia, paragrafi dal 25 al 27 supra) mostrano che la diagnosi preimpianto è vietata, per lo meno, per prevenire la trasmissione di malattie genetiche, nei seguenti paesi: Austria, Italia e Svizzera.
30. Quanto a quest'ultimo paese, la Corte nota che il 26 maggio 2010, il Consiglio federale ha sottoposto a consultazione un progetto volto a sostituire il divieto della diagnosi preimpianto per come è attualmente prevista dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita, con una ammissione controllata. Per realizzare questo cambiamento sarà necessario modificare l'articolo 119 della Costituzione federale.
31. Risulta inoltre che la diagnosi preimpianto è autorizzata nei seguenti paesi: Germania, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Georgia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Federazione Russa, Serbia, Slovenia e Svezia.
32. Questa materia non è oggetto di una specifica regolamentazione nei seguenti paesi: Bulgaria, Cipro, Malta, Estonia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Polonia, Romania, Slovacchia, Turchia e Ucraina. La Corte nota che tre di questi paesi (Cipro, Turchia e Slovacchia) autorizzano di fatto l'accesso alla diagnosi preimpianto.
33. Inoltre, la Corte rileva che, nella causa Roche c. Roche e altri ([2009] IESC 82 (2009)), la Corte Suprema irlandese ha stabilito che la nozione di bambini non ancora nati ("unborn child") non si applica agli embrioni ottenuti nell'ambito di una fecondazione in vitro, questi ultimi non beneficiano quindi della tutela prevista dall'articolo 40.3.3. della Costituzione irlandese che riconosce il diritto alla vita del bambino non ancora nato. In questa causa, la ricorrente, avendo già avuto un figlio in seguito ad una fecondazione in vitro, aveva adito la Corte Suprema per ottenere l'impianto di altri tre embrioni ottenuti nell'ambito della stessa fecondazione, nonostante mancasse il consenso del suo ex compagno, dal quale nel frattempo si era separata.
7. Elementi pertinenti che risultano dalla "Proposta di legge per modificare la legge del 6 luglio 2007 relativa alla procreazione medicalmente assistita […]" - Senato del Belgio sessione 2010-2011
34. Questa proposta di legge si prefigge di ampliare l'utilizzo della diagnosi preimpianto al fine di evitare il rischio di far nascere un bambino portatore sano di una malattia genetica grave (l'accesso a questa tecnica per evitare la nascita di bambini affetti da malattie genetiche era già previsto dalla legge belga). I passaggi pertinenti di questo testo sono qui riportati:
« La domanda per la diagnosi preimpianto è aumentata nel corso del tempo ad è ormai una opzione per le coppie che presentano un elevato rischio di dare alla luce un bambino con una grave malattia ereditaria per la quale si può rilevare la mutazione. [...]
Gli autori del progetto parentale privilegiano generalmente la diagnosi preimpianto (DPI) alla diagnosi prenatale (DPN). In effetti […], "la grave malattia riscontrata nel feto implica una interruzione di gravidanza a partire dai tre mesi, che generalmente è fonte di sofferenza psichica per i genitori che verosimilmente hanno già realizzato un investimento affettivo in quel feto che dovrebbe diventare il loro futuro figlio [...]. È inoltre possibile che più gravidanze successive debbano essere interrotte prima di ottenere un feto non malato [Fonte: Comitato consultivo di bioetica, parere no 49 relativo all'utilizzo della diagnosi preimpianto.] »
In questo modo, il principale vantaggio della diagnosi preimpianto è quello di permettere di evitare un'interruzione di gravidanza. È stato rilevato che ciò costituisce anche la principale motivazione per la maggior parte delle coppie che vi fanno ricorso, queste coppie spesso hanno già vissuto l'esperienza dolorosa di una interruzione di gravidanza per ragioni mediche.»
IN DIRITTO
I. SULLE ECCEZIONI SOLLEVATE DAL GOVERNO
35. Il Governo eccepisce il difetto della qualità di vittima dei ricorrenti. A suo dire, a differenza dei richiedenti nella causa decisa dal tribunale di Salerno (ordinanza n. 12474/09 depositata il 13 gennaio 2010), i ricorrenti non hanno adito le autorità per poter effettuare una diagnosi preimpianto e non si sono visti opporre un rifiuto da parte delle stesse. Il ricorso costituirebbe quindi un’actio popularis e i ricorrenti non avrebbero comunque esaurito le vie di ricorso interne.
36. A dire dei ricorrenti, l’ordinanza in questione costituisce una decisione isolata, emessa da un giudice unico sulla base di una procedura d’urgenza e, comunque, la legge vieta in maniera assoluta l’accesso alla diagnosi preimpianto.
37. La Corte ricorda che, in mancanza di uno specifico rimedio interno, spetta al Governo dimostrare, appoggiandosi sulla giurisprudenza interna, lo sviluppo, la disponibilità, la portata e l’applicazione della via di ricorso da esso invocata (si vedano, mutatis mutandis, Melnītis c. Lettonia, n. 30779/05, § 50, 28 febbraio 2012 e McFarlane c. Irlanda [GC], n. 31333/06, §§ 115-127, 10 settembre 2010). Inoltre, il Governo non può invocare l’esistenza di un mezzo d’impugnazione interno in assenza di una giurisprudenza interna che dimostri l’effettività di quest’ultimo nella pratica e nel diritto, tanto meno quando tale giurisprudenza promani da un organo giudiziario di primo grado (Lutz c. Francia (n. 1) (n. 48215/99, § 20, 26 marzo 2002).
38. Nel caso di specie, la Corte rileva che l’ordinanza del tribunale di Salerno è stata pronunciata da un giudice di primo grado, non è stata confermata da un organo di grado superiore ed è solo una decisione isolata. In ogni caso, non si può rimproverare validamente ai ricorrenti di non avere presentato una domanda volta ad ottenere una misura che, il Governo lo ammette esplicitamente (si veda il paragrafo 73 infra), è vietata in maniera assoluta dalla legge.
39. Infine, senza ombra di dubbio i ricorrenti sono interessati direttamente dalla misura interdittiva controversa: hanno un figlio affetto dalla patologia di cui sono portatori ed hanno già proceduto una volta all’interruzione medica di gravidanza in quanto il feto era colpito da mucoviscidosi.
40. Pertanto, le eccezioni del Governo convenuto non possono essere prese in considerazione.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
41. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della vita privata e familiare a motivo del fatto che, per loro, l’unica strada percorribile per generare figli che non siano affetti dalla malattia di cui sono portatori sani è iniziare una gravidanza secondo natura e procedere all’interruzione medica di gravidanza ogniqualvolta una diagnosi prenatale dovesse rivelare che il feto è malato.
42. L’articolo 8 della Convenzione dispone così nelle parti pertinenti:
«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...).
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria […] alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»
A. Sulla ricevibilità
43. A giudizio della Corte, il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e non si oppone a nessun altro motivo d’irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.
B. Sul merito
1. Le argomentazioni delle parti
a) Il Governo
44. Il Governo osserva che, in sostanza, i ricorrenti invocano un «diritto ad avere un figlio sano», diritto non tutelato, in quanto tale, dalla Convenzione. Quindi la doglianza dei ricorrenti sarebbe irricevibile ratione materiae.
45. Se, malgrado ciò, la Corte dovesse ritenere che l’articolo 8 trovi applicazione nel caso di specie, il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata e familiare non sarebbe stato comunque violato. Il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto costituisce, infatti, una misura prevista dalla legge, volta al perseguimento di uno scopo legittimo, vale a dire la tutela dei diritti altrui e della morale, e necessaria in una società democratica.
46. Infatti, disciplinando la materia, lo Stato ha tenuto conto della salute del bambino nonché di quella della donna, esposta al rischio di depressioni dovute alla stimolazione e alla puntura ovariche. Inoltre, la misura in questione sarebbe volta a tutelare la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche ed eviterebbe il rischio di derive eugeniche.
47.Infine, in mancanza di un consenso europeo in materia, gli Stati membri godrebbero di un ampio margine di apprezzamento, stante la natura morale, etica e sociale delle questioni sollevate dal presente ricorso.
b) I ricorrenti
48. Per i ricorrenti, «il diritto al rispetto della decisione di diventare o di non diventare genitore», soprattutto nel significato genetico del termine, rientra nel concetto di diritto al rispetto della vita privata e familiare (Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 71, CEDU 2007 I).
49. Pertanto, lo Stato dovrebbe, da un lato, astenersi da qualsiasi interferenza nella scelta dell’individuo di diventare o meno genitore di un figlio, dall’altro, porre in atto le misure necessarie perché una tale scelta possa essere compiuta in piena libertà.
c) I terzi intervenienti
50.Il primo dei terzi intervenienti ribadisce le osservazioni del governo convenuto. Osserva inoltre che, così come il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto, la possibilità di procedere legalmente ad un’interruzione medica di gravidanza sarebbe intesa a tutelare la vita del nascituro in quanto il sistema prevede alternative all’aborto attraverso l’adozione, ad esempio, di misure sociali. Per giunta, la diagnosi preimpianto implicherebbe la soppressione di più esseri umani, mentre l’aborto ne riguarderebbe uno solo.
51. Il secondo dei terzi intervenienti sostiene che l’accesso all’inseminazione artificiale e poi alla diagnosi preimpianto consentirebbe ai ricorrenti di procreare un figlio non affetto dalla patologia di cui sono portatori, senza ricorrere ad aborti terapeutici. In tal modo, anche la salute della ricorrente sarebbe tutelata.
2. Valutazione della Corte
a) La portata della doglianza formulata dai ricorrenti e la compatibilità ratione materiae di questa con i diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione
52. La Corte rileva innanzitutto che, al fine di stabilire la compatibilità ratione materiae della doglianza formulata dai ricorrenti con l’articolo 8 della Convenzione, è fondamentale definire la portata di tale doglianza.
53. La Corte osserva che, a dire del Governo e del primo dei terzi intervenienti, i ricorrenti lamentano la violazione di un «diritto ad avere un figlio sano». Ora, la Corte constata che il diritto da essi invocato altro non è se non la possibilità di accedere alle tecniche della procreazione assistita e poi alla diagnosi preimpianto per poter mettere al mondo un figlio non affetto da mucoviscidosi, malattia genetica di cui sono portatori sani.
54. Infatti, nel caso di specie, la diagnosi preimpianto non è tale da escludere altri fattori suscettibili di compromettere la salute del nascituro, quali, ad esempio, l’esistenza di altre patologie genetiche o di complicanze derivanti dalla gravidanza o dal parto. Il test in questione è infatti mirato alla diagnosi di una «specifica malattia genetica di particolare gravità [...] e incurabile al momento della diagnosi» (si veda il rapporto del CDBI del Consiglio d’Europa, parte b. «Il Ciclo della diagnosi preimpianto», paragrafo 25 supra).
55. La Corte rammenta poi che il concetto di «vita privata» ai sensi dell’articolo 8 è un concetto ampio comprendente, tra gli altri, il diritto dell’individuo ad allacciare e sviluppare rapporti con i simili (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, serie A n. 251-B), il diritto allo «sviluppo personale» (Bensaïd c. Regno Unito, n. 44599/98, § 47, CEDU 2001-I), e ancora il diritto all’autodeterminazione (Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61, CEDU 2002-III). Anche fattori quali l’identificazione, l’orientamento e la vita sessuale rientrano nella sfera personale tutelata dall’articolo 8 (si vedano, ad esempio, Dudgeon c. Regno Unito, 22 ottobre 1981, § 41, serie A n. 45 e Laskey, Jaggard e Brown c. Regno Unito, 19 febbraio 1997, § 36, Raccolta 1997-I), così come il diritto al rispetto della decisione di diventare o di non diventare genitore (Evans c. Regno Unito, sopra citata, § 71, A, B e C c. Irlanda [GC], n. 25579/05, § 212, CEDU 2010 e R.R. c. Polonia, n. 27617/04, § 181, CEDU 2011 (estratti)).
56. Sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte ha inoltre riconosciuto il diritto dei ricorrenti al rispetto della decisione di diventare genitori genetici (Dickson c. Regno Unito [GC], n. 44362/04, § 66, CEDU 2007-V, con i riferimenti ivi citati) ed ha concluso per l’applicazione del suddetto articolo in materia di accesso alle tecniche eterologhe di procreazione artificiale a fini di fecondazione in vitro (S.H. ed altri c. Austria [GC], n. 57813/00, § 82, CEDU 2011).
57. Nel caso di specie, a giudizio della Corte, il desiderio dei ricorrenti di mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia genetica di cui sono portatori sani e di ricorrere, a tal fine, alla procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi preimpianto rientra nel campo della tutela offerta dall’articolo 8. Una tale scelta costituisce, infatti, una forma di espressione della vita privata e familiare dei ricorrenti. Pertanto, tale disposizione trova applicazione nel caso di specie.
b) L’osservanza dell’articolo 8 della Convenzione
i. Ingerenza «prevista dalla legge» e scopo legittimo
58. La Corte constata che nel diritto italiano, la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita è aperta unicamente alle coppie sterili o infertili nonché alle coppie di cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili (H.I.V., epatite B e C) (si veda l’articolo 4, comma 1, della legge n. 40/2004 e il decreto del ministero della Salute n. 31639 dell’11 aprile 2008). I ricorrenti non rientrano in queste categorie di persone, quindi non possono accedere alla procreazione medicalmente assistita. Quanto all’accesso alla diagnosi preimpianto, il Governo riconosce esplicitamente che, nel diritto interno, l’accesso a questo tipo di diagnosi è vietato a qualsiasi categoria di persone (si veda il paragrafo 73 infra). Il divieto in questione costituisce quindi un’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare.
59.A parere della Corte, l’ingerenza è certamente «prevista dalla legge» e può ritenersi intesa al perseguimento degli scopi legittimi di tutela della morale e dei diritti e delle libertà altrui. Ciò non è contestato dalle parti.
ii. Necessità in una società democratica
60. Tanto per cominciare, la Corte osserva che la doglianza dei ricorrenti non riguarda la domanda se, in sé, il divieto loro posto di accedere alla diagnosi preimpianto sia compatibile con l’articolo 8 della Convenzione. I ricorrenti denunciano in realtà la sproporzione di una tale misura a fronte del fatto che il sistema legislativo italiano li autorizza a procedere ad un’interruzione medica di gravidanza qualora il feto dovesse essere colpito dalla patologia di cui sono portatori.
61. Per giustificare l’ingerenza, il Governo invoca la preoccupazione di tutelare la salute del «bambino» e della donna nonché la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche, e l’interesse ad evitare il rischio di derive eugeniche.
62. Questi argomenti non convincono la Corte. Sottolineando in premessa che il concetto di «bambino» non è assimilabile a quello di «embrione», essa non vede come la tutela degli interessi menzionati dal Governo si concili con la possibilità offerta ai ricorrenti di procedere ad un aborto terapeutico qualora il feto risulti malato, tenuto conto in particolare delle conseguenze che ciò comporta sia per il feto, il cui sviluppo è evidentemente assai più avanzato di quello di un embrione, sia per la coppia di genitori, soprattutto per la donna (si veda il rapporto del CDBI del Consiglio d’Europa e i dati risultanti dalla proposta di legge belga, paragrafi 25 e 34 supra).
63. Per giunta, il Governo omette di spiegare in quale misura risulterebbero esclusi il rischio di derive eugeniche e quello di ledere la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche nel caso di esecuzione legale di un’interruzione medica di gravidanza.
64. E’ giocoforza constatare che, in materia, il sistema legislativo italiano manca di coerenza. Da un lato, esso vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia di cui i ricorrenti sono portatori sani; dall’altro, autorizza i ricorrenti ad abortire un feto affetto da quella stessa patologia (si veda anche il rapporto della Commissione Europea, paragrafo 27 supra).
65. Le conseguenze di un tale sistema sul diritto al rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti sono evidenti. Per tutelare il loro diritto a mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia di cui sono portatori sani, l’unica possibilità offerta ai ricorrenti è iniziare una gravidanza secondo natura e procedere a interruzioni mediche della gravidanza qualora l’esame prenatale dovesse rivelare che il feto è malato. Nello specifico, i ricorrenti hanno già proceduto una volta all’interruzione medica di gravidanza per tale motivo, nel mese di febbraio del 2010.
66. Pertanto, la Corte non può non tenere conto, da un lato, dello stato di angoscia della ricorrente, la quale, nell’impossibilità di procedere ad una diagnosi preimpianto, avrebbe come unica prospettiva di maternità quella legata alla possibilità che il figlio sia affetto dalla malattia in questione, e, dall’altro, della sofferenza derivante dalla scelta dolorosa di procedere, all’occorrenza, ad un aborto terapeutico.
67. La Corte osserva poi che nella sentenza S.H. (sopra citata, § 96), la Grande Camera ha stabilito che, in materia di fecondazione eterologa, stante l’evoluzione del settore, il margine di apprezzamento dello Stato non poteva essere ridotto in maniera decisiva.
68. Pur riconoscendo che la questione dell’accesso alla diagnosi preimpianto suscita delicati interrogativi di ordine morale ed etico, la Corte osserva che la scelta operata dal legislatore in materia non sfugge al controllo della Corte (si veda, mutatis mutandis, S.H., sopra citata, § 97).
69.; Nella fattispecie, la Corte rammenta che, a differenza della causa S.H. (sopra citata), in cui essa è stata chiamata a valutare la compatibilità della legislazione austriaca, recante divieto di fecondazione eterologa, con l’articolo 8 della Convenzione, nel presente caso, riguardante una fecondazione omologa, la Corte ha il compito di verificare la proporzionalità della misura controversa a fronte del fatto che ai ricorrenti è aperta la via dell’aborto terapeutico (si veda il paragrafo 60 supra).
70. Si tratta quindi di una situazione specifica che, stando ai dati di diritto comparato in possesso della Corte, riguarda, oltre all’Italia, solo due dei trentadue Stati oggetto di esame: l’Austria e la Svizzera. Per giunta, in quest’ultimo Stato è attualmente all’esame un progetto di modifica della legge inteso a sostituire il divieto di diagnosi preimpianto, come attualmente previsto, con un’ammissione controllata (paragrafo 30 supra).
3. Conclusioni
71. Stante l’incoerenza del sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto nel senso sopra descritto, la Corte ritiene che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare sia stata sproporzionata. Pertanto, l’articolo 8 della Convenzione è stato violato nel caso di specie.
III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
72. Invocando l’articolo 14 della Convenzione, i ricorrenti lamentano di subire una discriminazione rispetto alle coppie sterili o infertili o di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili (quali il virus dell’HIV e quello dell’epatite B e C), le quali possono fare ricorso, secondo i ricorrenti, alla diagnosi preimpianto. L’articolo è così redatto:
«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»
73 A dire del Governo, il diritto italiano vieta l’accesso alla diagnosi preimpianto a qualsiasi categoria di persone. Infatti, il decreto ministeriale dell’11 aprile 2008 si è limitato a consentire alle coppie di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili di accedere alla fecondazione artificiale al fine di evitare il rischio, derivante dalla procreazione secondo natura, di trasmissione di patologie sessualmente trasmissibili alla madre e al figlio. Le tecniche della procreazione assistita sarebbero utilizzate, in questo contesto, solo per depurare lo sperma dalla componente infettiva. A differenza della diagnosi preimpianto, si tratta quindi di uno stadio precedente a quello della fecondazione dell’embrione.
74 A quest’analisi i ricorrenti non oppongono argomentazioni specifiche.
75 La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione, la discriminazione deriva dal fatto di trattare in modo diverso, salvo giustificazione oggettiva e ragionevole, persone poste in situazioni paragonabili in una data materia (Willis c. Regno Unito, n. 36042/97, § 48, CEDU 2002-IV, e Zarb Adami c. Malta, n. 17209/02, § 71, CEDU 2006-VIII).
76. Nel caso specifico, la Corte constata che, in materia di accesso alla diagnosi preimpianto, le coppie di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili non sono trattate in modo diverso rispetto ai ricorrenti. Il divieto di accedere alla diagnosi in questione interessa, infatti, qualsiasi categoria di persone. Questa parte del ricorso è quindi manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
77. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A.Danno
78. I ricorrenti chiedono 50.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento del danno morale che avrebbero subito.
79. Il Governo si oppone a tale richiesta.
80. La Corte ritiene che sia opportuno concedere ai ricorrenti congiuntamente 15.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale.
B. Spese
81. I ricorrenti chiedono inoltre 14.767,50 EUR per le spese sostenute dinanzi alla Corte.
82. Il Governo si oppone a tali richieste.
83. Stando alla giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo se siano accertate la loro realtà, necessità e, inoltre, ragionevolezza del tasso. Nel caso di specie e tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma di 2.500 EUR per il procedimento dinanzi alla Corte e la concede ai ricorrenti.
C. Interessi moratori
84. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’,
Dichiara il ricorso ricevibile quanto alla doglianza relativa all’articolo 8 della Convenzione ed irricevibile nel resto;
Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
Dichiara
che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti congiuntamente, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
15.000 EUR (quindicimila euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danni morali;
2.500 EUR (duemilacinquecento euro), oltre ad ogni importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per spese;
che, a partire dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
Rigetta la domanda di equa soddisfazione nel resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 28 agosto 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Françoise Tulkens
Presidente
Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto
[1] Mucoviscidosi, o fibrosi cistica: malattia ereditaria caratterizzata da una anormale viscosità del muco secreto dalle ghiandole pancreatiche e dai bronchi. Questa patologia, che si manifesta nella maggior parte dei casi con attacchi respiratori, evolve più o meno rapidamente verso una grave insufficienza respiratoria, spesso mortale in mancanza di trapianto di polmone. Fonte: Dizionario Medico Larousse
[2] Diagnosi genetica preimpianto: identificazione di una anomalia genetica dell'embrione grazie alle tecniche di biologia molecolare nel corso di una fecondazione in vitro. Fonte: Dizionario Medico Larousse.
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