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MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Giuseppe Martelli

Uno studio sugli animali: perché?

Non vi è mai capitato di prendere in braccio un gattino siamese oppure di accarezzare teneramente un cagnolino? Quante volte vi è successo di accompagnare vostro figlio o vostro nipote allo zoo e di restare incantati davanti alla maestosità di un elefante o all’autorevolezza di un leone?
La fantasia di Dio nel creare animali di diverso genere è davvero straordinaria ed è sotto gli occhi di tutti.
Possiamo, allo stesso modo, affermare che esista un atteggiamento o un “pensiero” del Signore nei confronti degli animali da lui stesso creati? In altre parole: gli animali sono indifferenti per Dio o rivestono invece una qualche importanza ai suoi occhi? Che cosa dice la Bibbia, la Parola di Dio al riguardo?
Domande di questo tipo sono alla base delle motivazioni che mi hanno spinto ad iniziare una ricerca biblica sul ruolo degli animali nella volontà di Dio.
Come rimanere impassibili dinanzi ad alcuni passi della Bibbia:
• “Se per caso un nido d'uccelli ti capita davanti, per la strada, sopra un albero o sul terreno, con degli uccellini o delle uova e la madre accovacciata sopra gli uccellini o le uova, non prenderai la madre con i piccoli; farai volar via la madre e prenderai i piccoli; e questo affinché tu sia felice e prolunghi i tuoi giorni” (De 22:6-7).
• “Il Signore disse: «Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato, che tu non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?»” (Gn 4:10-11).
La Bibbia ci mostra un Dio sensibile e interessato ai bisogni degli animali, un Dio che nutre compassione per queste sue creature, oltre che per gli esseri umani, un Dio che considera il bestiame a pieno titolo nel novero della sua creazione, tanto da porvi particolare attenzione.
Non possiamo non condividere, allora, quanto affermato da uno studioso delle Sacre Scritture, il quale ha dichiarato:
“Gli animali occupano un posto speciale negli scritti biblici a causa della loro creazione da Dio e del loro ruolo in rapporto agli uomini. Dio vede gli animali come rappresentanti delle sue meravigliose attività creative e li ha creati per avere una relazione speciale con gli esseri umani”.
Sì, allora, possiamo affermare che esiste un “pensiero di Dio” in riferimento agli animali da lui creati.
La mia ricerca è stata essenzialmente bibliocentrica e non ha avuto un carattere teologico in senso lato. Cioè mi sono basato soprattutto su passi in cui la Scrittura menziona parole come “animali”, “bestiame” e simili, ma non mi sono appositamente addentrato in disquisizioni filosofiche sui caratteri esistenziali di queste creature oppure sulla natura dei loro rapporti con l’umanità e con Dio stesso.
Mi sono reso conto della saggezza che ci trasmette la Parola di Dio, la quale si pone in equilibrio fra gli eccessi di certi movimenti animalisti ed anche vegetariani, con i quali si rischia di idolatrare gli animali creati da Dio e gli opposti eccessi di chi non manifesta alcuna attenzione ed alcun rispetto per gli animali, per esempio abbandonando il proprio cane in autostrada all’inizio delle ferie estive oppure contribuendo all’estinzione delle foche con l’acquisto di costose pellicce.
Il termine “animale”, nella lingua italiana, è piuttosto generico. Da un comune vocabolario della lingua italiana possiamo riscontrare le seguenti principali definizioni del termine al nostro esame: “Ogni essere animato, dotato di moto e di sensi, specialmente con riferimento diretto o indiretto ad una classificazione, es. domestici, selvatici, ecc.”. Entrando nello specifico, nel linguaggio scientifico con il termine “animale” si designano “gli individui che costituiscono uno dei tre regni in cui sono divisi i corpi esistenti in natura”.
Nella Parola di Dio, invece, il termine “animale” non trova alcuna definizione ma è usato anche qui in vario modo, con diverse distinzioni al suo interno, indicando peraltro molteplici tipi e generi di esseri viventi. Noi limiteremo la nostra ricerca a quei versetti in cui compaiono le parole “animale”, “bestiame” e simili, con alcune eccezioni per le quali commenteremo versetti della Bibbia che parlano di singoli animali.
A questo proposito, non è superfluo segnalare che, nella Nuova Riveduta, abbiamo potuto riscontrare la parola “animali” in 89 versetti e “animale” in 27; il termine “bestia” si rinviene 78 volte e il suo plurale “bestie” altre 108 volte, mentre l’accezione “bestiame” è presente in 143 occasioni.

DIO HA CREATO GLI ANIMALI
La Bibbia è davvero “il libro di Dio”, dell’unico Dio Creatore dei cieli e della terra e Redentore dell’umanità. Una delle “prove” dell’unicità della Bibbia è data dal fatto che nelle sue prime pagine si parla della creazione del mondo, atto iniziale di ogni esistenza. In altri testi sacri (es. nel Corano) non viene narrato come Dio creò i cieli e la terra, mentre altri racconti antichi (es. il Codice Hammurabi) risultano parziali e limitati nelle loro narrazioni creazionali.
Naturalmente non entreremo qui nelle disquisizioni relative alla “scientificità” della creazione, in contrapposizione alle varie teorie evolutive che vengono spacciate per scientifiche nella nostra società pagana. Il nostro unico scopo è quello di esaminare i passi biblici in cui si parla degli atti creativi di Dio, con particolare riferimento agli animali e al bestiame, per enucleare alcune loro caratteristiche consequenziali, nella loro relazione con Dio e con il resto della creazione. Poi, analizzeremo le tipologie di animali e di bestiame individuate nella Scrittura.

Gli animali come creazione di Dio
Per le Sacre Scritture non v’è alcun dubbio che la terra ed i cieli siano stati creati da Dio, insieme a tutti gli esseri viventi che popolano il nostro pianeta, compresi gli animali:
"IO ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e con il mio braccio steso…” (Gr 27:5)
Le teorie evoluzionistiche sono intervenute in epoca assai tarda, con modalità e presupposti molto discutibili e con ancor più discutibili presupposti e risultati scientifici. Per la Bibbia, invece, il “problema delle origini” è presto risolto: aprendo il Libro di Dio troviamo subito, nelle sue prime pagine, le dichiarazioni fondamentali che gettano la luce della Verità sull’intera questione:
“Nel principio Dio creò i cieli e la terra…” (Ge 1:1)
Nei versetti successivi troviamo la descrizione di singoli atti creativi del Signore nei sei giorni della creazione: come prima cosa Dio creò la luce (1:3-5), mentre il secondo giorno creò il cielo (v. 6-8), per poi dedicarsi alla terra e ai mari (v. 9-10). Il terzo giorno Egli creò anche la vegetazione e gli alberi (v. 11-13), e nel giorno successivo creò il sole, la luna e le stelle (v. 14-19). Il quinto giorno, poi, Dio creò tutti i tipi di uccelli e di pesci (v. 20-23) e solo successivamente, nel sesto giorno, pensò agli animali e al bestiame (v. 24-25) che precedettero di poco la creazione dell’uomo (v. 26-31).

Gli atti creativi di Dio
Gli atti creativi di Dio aventi per oggetto soltanto gli animali e il bestiame sono descritti nei vv. 20-25 del capitolo 1 della Genesi, nei quali vengono narrati il quinto e la prima parte del sesto giorno della creazione di Dio.
In primo luogo si parla dei “grandi animali acquatici” (Ge 1:20-22) e di tutte le altre creature che vivono nei mari e nei laghi, nonché di “ogni volatile” secondo la loro specie:
“Poi Dio disse: «Producano le acque in abbondanza esseri viventi, e volino degli uccelli sopra la terra per l'ampia distesa del cielo». Dio creò i grandi animali acquatici e tutti gli esseri viventi che si muovono, e che le acque produssero in abbondanza secondo la loro specie, e ogni volatile secondo la sua specie. Dio vide che questo era buono. Dio li benedisse dicendo: «Crescete, moltiplicatevi e riempite le acque dei mari, e si moltiplichino gli uccelli sulla terra»”
Come in tutti i precedenti atti creativi di Dio, anche nel quinto giorno il Signore prima parlò e comandò ciò che doveva essere creato, facendolo con due precisi imperativi (v. 20), mentre solo dopo realizzò il suo ordine procedendo alla creazione (v. 21).
Così, Dio popolò i mari, i laghi e i fiumi: egli creò “i grandi animali acquatici”, cioè le balene, i capodogli e altre creature enormi di ogni tipo e dimensione, ma creò pure tutti gli “esseri viventi” (lett. “anime viventi”) che popolano le acque e che comprendono ogni tipo di pesce e tutti gli altri animali acquatici diversi dai pesci. Subito dopo, il Signore creò anche “ogni volatile” secondo la loro specie, ovvero tutti gli uccelli di qualsiasi tipo e dimensione.
Non è superfluo segnalare come l’Eterno non creò solo una coppia per ogni specie vivente, ma li creò tutti “in abbondanza”, comandando loro di riprodursi e di moltiplicarsi.
È interessante anche notare che la parola ebraica per “creare” corrisponde al verbo barà, usato solo sei volte in Genesi 1, sempre per dare inizio a un nuovo capitolo nell’attività creativa di Dio: dopo l’universo (v. 1), ecco i pesci e gli uccelli (v. 21) e successivamente l’uomo (v. 27, 2:3). In tutti gli altri casi, nel racconto della creazione troviamo il verbo asàh, che significa “fare” e rende un’attività qualitativamente inferiore a quella propriamente creativa.
Non si tratta, peraltro, di una creazione meramente quantitativa, senza attenzione all’individuo, perché ogni essere creato da Dio mostra ancora oggi le sue perfezioni meravigliose, che ci parlano delle sue perfezioni invisibili (cfr. Ro 1:20).
E’ significativo, a tal proposito, che alla fine del v. 21 il Creatore definisca “buono” (ebr. tob) ciò che aveva appena fatto, approvando gli atti creativi appena compiuti. Gli uccelli e i pesci, ma in generale tutti gli animali, sono una buona creazione per Dio, come buona è anche la creazione dell’uomo… anzi è molto buono (v. 31) tutto ciò che egli ha creato in quei sei giorni!
Un’ultima considerazione su questi versetti: nel v. 22 compare per la prima volta nella Bibbia la parola “benedire” (ebr. baràk) riferita agli animali (subito dopo sarà riferita anche all’uomo, v. 28). La benedizione di Dio si manifesta, in particolare, nel fatto che egli ha dato la vita a tutti gli animali e che li ha anche resi fecondi, in modo che possano moltiplicarsi dovunque si trovino: Egli mostra così la sua cura e la sua provvidenza, perché non abbandona a sé stessa la creazione che ha fatto.
In secondo luogo si parla della creazione degli “animali viventi” che popolano ancora oggi la terra, secondo le loro varie specie:
“Poi Dio disse: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie». E così fu. Dio fece gli animali selvatici della terra secondo le loro specie, il bestiame secondo le sue specie e tutti i rettili della terra secondo le loro specie. Dio vide che questo era buono” (Ge 1:24-25).
Il Signore, nei sei giorni della creazione, ha proceduto per gradi, cominciando dagli esseri più semplici e arrivando a quelli più complessi: di conseguenza, per quanto riguarda gli esseri viventi, ha creato prima i pesci e gli uccelli e poi si è dedicato agli animali della terra, per creare infine l’uomo.
Nel sesto giorno, in particolare, possiamo immaginare le acque popolate di pesci e di tanti altri esseri viventi, mentre nel cielo volano uccelli di ogni genere e dimensione… ma la terra è ancora disabitata. Allora, nell’apoteosi dei suoi atti creativi, Dio provvede a far comparire innanzitutto gli “animali viventi” della terra secondo le loro varie specie, mentre in seguito creerà anche l’uomo e la donna.
Gli animali della terra vengono subito suddivisi in tre grandi categorie (v. 24): il “bestiame”, cioè soprattutto i quadrupedi addomesticabili; i “rettili” e infine gli “animali selvatici della terra”, cioè tutti i tipi di bestie selvagge che vivono in libertà. In ciascuna di queste categorie, ben distinte fra loro, vi sono poi le diverse “specie” che le caratterizzano e che danno vita alla fantasiosa molteplicità degli esseri viventi che popolano la terra, ciascuno dei quali è unico per forma, comportamento, istinto ed alimentazione.
Anche in questo caso, Dio emana prima un ordine concernente la creazione (v. 24) e poi lo realizza egli stesso (v. 25).
Degna di nota, in questo caso, è la differenza esistente con la creazione delle piante nel terzo giorno: l’ordine divino è il medesimo (cfr. v. 11) ma la sua esecuzione vede la terra che “produce” vegetazione ed erbe (v. 12), evidentemente perché il Signore aveva già creato la sintesi clorofilliana e quant’altro, ancora oggi, rende capace la terra di “produrre” le piante e i fiori. Ma la vita animale è di livello superiore e trae origine direttamente da Dio, il quale figura pertanto come diretto ed unico Creatore di tutti i tipi di pesci, di uccelli e di animali terrestri (v. 21,25).

Alcune implicazioni
Sono almeno due le principali implicazioni della creazione degli animali da parte di Dio, per quanto riguarda il rapporto di queste creature con il loro Creatore.
In primo luogo, gli animali sono di proprietà di Dio che li ha creati, come può evincersi dalle parole:
“Sono mie, infatti, tutte le bestie della foresta,
mio è il bestiame che sta sui monti a migliaia” (Sl 50:10).
Il contesto del Salmo riguarda il giudizio: il Signore ha convocato i cieli e la terra per trarre in giudizio il popolo d’Israele (v. 1-6), in quanto gli contesta un uso errato dei sacrifici di animali, che lui stesso ha ordinato nella legge (v. 7-13).
In tale contesto, l’Eterno ricorda al popolo che tutti gli animali sono di sua proprietà, che egli li conosce a che essi sono a sua disposizione (v. 10-11). Se suo è tutto il mondo e tutto ciò che esso contiene (v. 12), non saranno sue anche tutte le bestie di qualsiasi genere? Tutto è di Dio: i cieli come la terra, le bestie selvatiche come gli animali addomesticabili; dappertutto la creazione è segnata col marchio del suo Creatore!
Se questo è vero, allora il Signore non ha bisogno di sacrifici di animali, perché essi sono già suoi: che cosa possono rappresentare poche bestie offerte su un altare, peraltro senza il giusto atteggiamento di adorazione, di fronte ai milioni di animali che abitano la terra e i mari e che sono anch’essi di proprietà del Creatore? Dio ha molte più bestie nelle foreste e nei cieli di quante possiamo offrirgliene noi prendendole dai nostri ovili. In tal senso, peraltro, in questo brano è stato notato un certo sarcasmo allorché il Signore contrappone i “tuoi” ovili e la “tua” casa (v. 9) alle “mie” bestie (v. 10) che sono a “mia” disposizione (v. 11).
In secondo luogo, la Scrittura afferma in più occasioni che gli animali sono a disposizione di Dio. Proprio perché da lui creati e di sua proprietà, tutti gli esseri viventi che popolano la terra, i mari ed i cieli sono e devono essere a disposizione del Re. In tal senso si esprime, per esempio, oltre al Salmo 50:11, anche Geremia:
“Infatti così parla il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: «Io metto un giogo di ferro sul collo di tutte queste nazioni perché siano sottomesse a Nabucodonosor, re di Babilonia; ed esse gli saranno soggette; e gli do pure gli animali della campagna»" (Gr 28:14).
Geremia sviluppò il suo ministero profetico in uno dei periodi più bui della storia del regno di Giuda: il popolo non era stato ancora completamente deportato a Babilonia, ma il re Sedechia si circondava ancora di falsi profeti come un certo Anania, che un giorno nel Tempio predisse davanti a tutto il popolo che entro due anni il giogo del re di Babilonia sarebbe stato spezzato dal Signore (Gr 28:1-4). Il profeta Geremia lo mise in guardia dal pericolo di profetizzare falsità che Dio non approvava (vv. 5-9) ma Anania insistette nella sua predizione, spezzando fisicamente il giogo che Geremia aveva messo sul proprio collo per ordine dell’Eterno (vv. 10-11). Non appena il profeta di Dio si allontanò, il Signore lo richiamò indietro e gli fece dire, da parte sua, che quel giogo di legno, ormai rotto, diventava ora un giogo di ferro, a significare che il dominio di Nabucodonosor sarebbe stato ancora più forte di prima e si sarebbe esteso su tutto il creato (vv. 12-14); lo stesso Anania sarebbe morto entro quell’anno (vv. 15-16), cosa che realmente accadde (v. 17).
In questo brano è interessante notare soprattutto che “anche gli animali della campagna”, oltre agli israeliti, sarebbero stati soggetti al re di Babilonia per decreto dell’Eterno.
Il Signore lo aveva già predetto dopo aver affermato con chiarezza:
“Io ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e con il mio braccio steso; io do la terra a chi voglio” (Gr 27:6).

Ciò fa comprendere almeno due cose: da un lato gli animali hanno una grande importanza per Dio e, dall’altro, la sovranità del Creatore si estende anche agli animali, visto che egli ne dispone a suo piacimento, nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni.

Tipicità creazionali degli animali
Al di là delle implicazioni creazionali all’interno del rapporto fra gli animali e il loro Creatore, nella Bibbia troviamo indicate anche una serie di loro caratteristiche che possono essere fatte risalire, in via diretta o indiretta, alla loro creazione da parte di Dio.
Di queste caratteristiche o tipicità ve ne sono alcune meramente descrittive, ovvero “neutre”, mentre altre contengono delle qualificazioni positive o negative, che forniscono agli animali delle peculiarità aggiuntive le quali, come genere, li distinguono dal resto della creazione e, come singole specie, li differenziano all’interno dello stesso regno animale.

Caratteristiche “neutre”
Iniziamo ad esaminare queste tipicità creazionali, dando uno sguardo ad alcune peculiarità “neutre” che sono ancora oggi sotto i nostri sguardi; osserveremo, inoltre, alcune caratteristiche che invece hanno avuto delle modifiche nella storia dell’umanità, in particolare dopo il peccato di Adamo ed Eva e dopo il diluvio.
• Alla fine del sesto giorno della creazione, dopo la comparsa dell’uomo e della donna (Ge 1:26-27), che erano stati benedetti da Dio anche con la concessione del dominio sugli animali, ma senza facoltà di cibarsi della loro carne (v. 28-29), Dio aggiunse:
“«A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento». E così fu” (Ge 1.30).
Anche gli animali, come gli uomini, erano stati creati erbivori e vegetariani, e proprio questo medesimo interesse di Dio per entrambi esalta l’importanza degli animali, che erano le uniche creature, oltre agli uomini, che avevano “in sé un soffio di vita” donato da Dio stesso (v. 30). La premura del Signore è evidente quando egli fornisce delle disposizioni per il tipo di cibo con cui gli animali si sarebbero nutriti, ed anche quando vi provvede egli stesso, affinché tutti gli animali possano avere il necessario e sufficiente per sopravvivere (cfr. Mt 6:26).
In realtà, vi erano alcune differenze tra le originarie “diete” vegetariane degli uomini e degli animali: per i primi, infatti, erano previsti tutti i tipi di vegetali e di frutti degli alberi (v. 29), mentre per i secondi erano previste solo l’erba ed i prodotti delle piante verdi (v. 30).
• Dopo la disubbidienza di Adamo ed Eva, allorché il peccato fece ingresso nel mondo e contaminò ogni cosa (cfr. Ro 5:12), vide la luce un nuovo modo di relazionarsi fra gli animali tra di loro e tra questi ultimi e gli uomini. Alcune specie di animali divennero carnivore, fecero la loro comparsa i predatori e iniziò la lotta per la sopravvivenza… ma un giorno, durante il Millennio, molte cose cambieranno e si tornerà allo stato dell’Eden per molti comportamenti degli animali (cfr. Is 11:6-8).
• Un secondo brano scritturale che contiene qualche tipicità creazionale “neutra” degli animali, lo troviamo nel libro di Giobbe, uno dei più antichi libri biblici:
“Le bestie selvagge vanno nel covo e stanno accovacciate entro le tane” (Gb 37:8).
Verso la fine dei dialoghi fra Giobbe e i suoi tre “amici” interviene un giovane saggio di nome Eliu (Gb 36:1-37:13). Eliu parla fra le altre cose della meravigliosa normalità secondo cui gli animali selvaggi, nella stagione fredda che blocca ogni lavoro dell’uomo (vv. 3-7), si rifugiano nelle loro tane e vi rimangono accovacciate per ripararsi dalla pioggia e dalla neve.
Ancora una volta, ecco uomini ed animali con caratteristiche comuni ma anche distinte: durante l’inverno, entrambi hanno bisogno di rifugio e non possono continuare la loro vita normale, ma le bestie selvatiche non costruiscono le loro case, eppure trovano riparo nei covi e negli anfratti creati da Dio.
• Altre due caratteristiche “neutre” degli animali come creature di Dio le troviamo nei Salmi:
“Egli fa scaturire fonti nelle valli ed esse scorrono tra le montagne; abbeverano tutte le bestie della campagna, gli asini selvatici vi si dissetano…Tu mandi le tenebre e si fa notte; in essa si muovono tutte le bestie della foresta” (Sl 104:10-11, 20).
Il Salmo 104 è uno dei più begli inni di lode a Dio che troviamo nella Bibbia, nel quale si inneggia alla bellezza del creato sotto le sue varie forme: cieli, venti e nuvole (v. 1-4), terra e acque (v. 5-12) che servono anche per il ciclo della vita in natura (v. 13-16), uccelli e animali, luna e sole (v. 17-19), giorno e notte con relativi comportamenti differenziati da parte degli animali (v. 20-21). In questo contesto, troviamo le “bestie della campagna” che si abbeverano dalle fonti d’acqua che, per volere di Dio, scaturiscono dalla montagna: il Signore ha cura di tutte le sue creature! In particolare, le bestie selvatiche non potrebbero sopravvivere se non fossero dissetate da Dio stesso, perché non hanno nessun padrone umano che si prenderebbe cura di loro. “Gli asini selvatici” ne sono un emblematico esempio: perché essi morirebbero presto disidratati se il loro Creatore non provvedesse l’acqua per loro, testardi e stupidi come sono!
Le “bestie della foresta” (v. 20) cominciano a muoversi di notte alla ricerca di cibo: ormai sono lontani i tempi del vegetarianesimo vissuti prima del diluvio e gli animali carnivori sono una realtà per tutti! Sotto la protezione dell’oscurità, creata da Dio, e lontani dalle insidie dell’uomo, che ha comunque dominio su di loro per decreto divino (cfr. Ge 9:2), le bestie selvatiche si danno alla caccia di altri animali. Non si parla più solo di acqua, ma la cura di Dio si estende anche al cibo per ogni sua creatura!
• I cambiamenti prodottisi dopo il peccato originale, per quanto riguarda gli animali, vengono ulteriormente sviluppati in altri brani della Scrittura. Ad esempio, troviamo scritto che le nazioni nemiche di Israele…
“…leccheranno la polvere come il serpente, come gli animali che strisciano sulla terra. Usciranno spaventate dai loro ripari, verranno tremanti al Signore, nostro Dio…” (Mi 7:17)
È degno di nota il contesto del brano: il profeta Michea è triste per i peccati del popolo (v. 1-4a, 6) e per il giudizio ormai vicino (v. 4b), ma pure confessa le proprie iniquità e mostra dipendenza da Dio e fede in lui (v. 7-10) e nutre speranza per il ristabilimento futuro d’Israele (v. 11-15) e per il giudizio divino sulle nazioni, che saranno spaventate e confuse e “leccheranno la polvere come il serpente” (v. 16-17).
Questo è un altro dato di fatto: vi sono animali “che strisciano sulla terra” e che ne leccano la polvere, ma all’inizio della creazione non era così, perché soltanto dopo la maledizione di Dio contro il serpente, che era un “animale dei campi” (Ge 3:1), quest’ultimo ha dovuto (v. 14) “camminare sul suo ventre e mangiare polvere tutti i giorni della sua vita”.
“Leccare la polvere” è simbolo di umiliazione e di mortificazione, oltre che di visibile sottomissione: le nazioni dovranno abbassarsi dinanzi al popolo d’Israele proprio come quel giorno, in Eden, il Serpente ha dovuto ubbidire a Dio e cominciare a strisciare per terra per mostrare la sua dipendenza dal volere del Re dei re.
In altri testi “i serpenti che strisciano nella polvere” (De 32:24) sono piuttosto simbolo del giudizio divino contro gli Israeliti infedeli: l’Eterno promette, infatti, che il loro veleno produrrà febbre e malattie mortali come conseguenza dell’idolatria del popolo eletto. Resta il fatto, comunque, che oggi esistono animali che strisciano sulla terra e che ne leccano la polvere, qualunque sia l’immagine o l’applicazione che ne possiamo ricavare.

Caratteristiche “positive”
Oltre a quelle “neutre” e meramente descrittive, nella Bibbia veniamo a conoscenza di alcune caratteristiche “positive” degli animali.
• Nei Proverbi troviamo due elenchi di quattro creature ciascuno, e ad ognuno di questi elenchi viene attribuita una particolare qualità:
“Ci sono quattro animali fra i più piccoli della terra, e tuttavia pieni di saggezza…Queste tre creature hanno una bella andatura, anche queste quattro hanno un passo magnifico” (Pr 30:24, 29)
I proverbi di Agur, contenuti nel capitolo 30 del libro dei Proverbi, inneggiano soprattutto alla Parola di Dio (v. 5-6) e alla Persona del Creatore (v. 4, 18-19), per cui non destano meraviglia questi versetti che magnificano la saggezza e la maestosità di certi animali.
Il v. 24, in particolare, presenta una tipicità “neutra” data dalla piccola statura di certi animali, ma anche una caratteristica “positiva” che è quella di essere “pieni di saggezza”. Nei vv. 25-28 viene poi esposta la fantasia creativa di Dio, il quale ha dato saggezza particolare ad alcuni “grandi in miniatura”: le formiche, che sanno organizzarsi perfettamente e raccolgono cibo per l’inverno; i conigli, che sono tanto timidi ma sanno scegliere nelle rocce il loro rifugio ; e le locuste, che non hanno capi ma sanno ugualmente organizzarsi come un vero e proprio esercito.
Nel v. 29, invece, viene descritta un’altra tipicità creazionale “positiva” di alcuni animali, che è la loro autorevolezza, la quale si manifesta soprattutto nel modo di presentarsi agli altri animali. Nei successivi vv. 30-31 si parla, in tal senso, del leone, del cavallo e del capro: il loro portamento è maestoso, ciascuno nel proprio habitat naturale, e la loro andatura è magnifica ed autorevole.
• Nel contesto del brano di Giobbe 36:33, poi, troviamo alcune parole dette dal giovane Eliu in uno dei suoi discorsi a Giobbe, con cui egli proclama ancora una volta la grandezza di Dio, che si manifesta anche nella natura e nelle sue opere meravigliose (vv. 22-33). Eliu parla dei presentimenti che caratterizzano certi animali e dice che “il rombo del tuono annuncia che egli viene, gli animali lo presentono vicino”.
Eliu ha esperienza di ciò che accade in campagna: gli animali, per un particolare istinto donato loro da Dio stesso, non appena odono il rumore del tuono sanno che la sua presenza è vicina e ne presentono l’arrivo. Non è straordinario che il Signore abbia dotato gli animali di un istinto che non si limita alla sopravvivenza della specie ma si estende anche al percepire la presenza di Dio stesso?
• Un’altra caratteristica “positiva” degli animali la riscontriamo in Gioele 1:20, dove il profeta parla del futuro “giorno del Signore” e delle sue devastanti conseguenze per gli animali, come per gli uomini e per la natura in generale (1:1-20). Più nel dettaglio, parlando al presente per sottolineare l’inevitabilità dell’evento, Dio dice che in quel giorno “anche gli animali selvatici si rivolgono a te, perché i corsi d'acqua sono inariditi e il fuoco ha divorato i pascoli del deserto”
Non c’è più pastura, i corsi d’acqua si sono inariditi, tutto il creato soffre e geme per le conseguenze del peccato del popolo eletto (cfr. Ro8:22), ed allora anche le bestie dei campi esprimono il loro malessere rivolgendosi a Dio desiderosi del suo intervento. È interessante notare che il verbo ebraico qui usato esprime un desiderio profondo dell’anima.
Si tratta di un’espressione poetica, ma anche di una realtà, per quanto difficile da comprendere per noi uomini: Dio rivela che gli animali sono capaci di rivolgersi a lui e possono farlo con un sincero desiderio del suo aiuto e del suo intervento. Essi dipendono dal Creatore per la loro sopravvivenza e sanno per istinto di poter ricevere il loro pasto dal Signore (cfr. Gb 38:41), ed allora fanno appello alla sua pietà con dei gemiti che il Creatore comprende e traduce in desiderio dell’anima e in preghiera di richiesta d’aiuto (cfr. Ro 8:26).
• Nei Salmi, infine, troviamo una conferma di quanto appena detto, con riferimento più specifico ai carnivori:
“I leoncelli ruggiscono in cerca di preda e chiedono a Dio il loro cibo” (Sl 104:21).
I leoncelli vanno a caccia durante la notte, emettendo tremendi ruggiti in cerca di preda: però, nel farlo, rivolgono al Creatore la richiesta di provvedere il cibo necessario alla loro sopravvivenza.

Caratteristiche “negative”
Nella Parola di Dio troviamo anche parecchi versetti che parlano di caratteristiche “negative” degli animali, che non sono frutto di valutazioni morali del comportamento, ma si riferiscono piuttosto ai danni che possono provocare sul resto della natura.
• Un primo brano in questo senso riguarda danni prodotti al regno vegetale:
“Ioas, re d'Israele, mandò a dire ad Amasia, re di Giuda: «Il rovo del Libano mandò a dire al cedro del Libano: – Da’ tua figlia in sposa a mio figlio –». E le bestie selvagge del Libano passarono, e calpestarono il rovo” (2Re 14:9).
Siamo intorno all’800 a.C. e il Regno unito d’Israele si è diviso da oltre un secolo. Il re di Giuda Amasia, inorgoglito da recenti vittorie militari, decise di muovere guerra al potente re d’Israele Asa (14:8), il quale però gli rispose ironicamente con la parabola del v. 9, che evidenzia lo squilibrio nella forza militare dei due regni.
In particolare, è ovvio che non vi sia paragone fra un grosso cedro ed un misero rovo, tanto che le “bestie selvagge” siano senz’altro capaci di distruggere il rovo con il loro semplice passaggio, senza neanche farlo apposta. In questa “normale” opera di distruzione, che certamente non può interessante un albero secolare, vediamo la punizione dell’orgoglio di Amasia ma pure la presa d’atto che gli animali selvatici sono certamente in grado di distruggere la vegetazione minuta, e di farlo in breve tempo.
• Un altro esempio di caratteristiche animali “negative” che incidono sul regno vegetale lo troviamo in un Salmo in cui il popolo d’Israele è paragonato ad una vigna: “…il cinghiale del bosco la devasta, le bestie della campagna ne fanno il loro pascolo” (Sl 80:13).
L’autore del salmo, Asaf, invoca la liberazione di Dio per il popolo eletto (vv. 1-7): a tal fine ricorda i grandi prodigi fatti dall’Eterno in Egitto e come la “vigna di Israele” fu piantata nella sua terra (vv. 8-11) ma ora la stessa vigna ha i recinti rotti e i passanti la spogliano (vv. 12), mentre “il cinghiale del bosco” la devasta e le “bestie della campagna” ne fanno il loro pascolo (v. 13).
Prendiamo atto, anche in questo caso, che in natura vi sono animali selvatici che, se lasciati liberi di fare, sono capaci di rovinare velocemente i campi e di divorare completamente le vigne, anche in una sola notte, per poi lasciare il posto ad altre bestie selvagge che ne faranno il loro pascolo.
In questo brano, inoltre, gli animali menzionati sono simbolo dei nemici di Israele che hanno fatto scempio del popolo di Dio: in particolare, i cinghiali sono parenti stretti dei maiali ed erano considerati anch’essi degli animali impuri (cfr. Le 11:7). In tal modo, allora, oltre a prendere atto dell’esistenza di bestie devastanti, cogliamo l’applicazione pratica di quali terribili e dannose conseguenze può avere allontanarsi dal Signore e abbandonare le sue vie!...
• Ma gli animali, oltre a produrre danni al regno vegetale, possono produrli anche alle creature viventi appartenenti al regno animale.
Ne troviamo traccia già nella Genesi:
“«Forza, uccidiamolo e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo poi che una bestia fero-
ce l'ha divorato e vedremo che ne sarà dei suoi sogni!»... Egli la riconobbe e disse: «È la veste
di mio figlio. Una bestia feroce l'ha divorato; certamente Giuseppe è stato sbranato»” (Ge 37:20,33).
I sogni del giovane Giuseppe avevano fatto adirare i suoi dieci fratelli e anche suo padre Giacobbe (37:5-11) tanto che, alla prima occasione utile, i fratelli cercarono di liberarsi di lui, prima gettandolo in una cisterna (vv. 23-24) e poi vendendolo a dei mercanti invece di ucciderlo (v. 28), salvo poi comunicare a Giacobbe che Giuseppe era stato forse “divorato da una bestia feroce” (v. 20): il loro anziano padre vi credette e ciò lo portò quasi alla morte (vv. 33-34).
A quei tempi, nella terra di Canaan vi erano bestie feroci come leoni ed orsi (cfr. 1Sa 17:37), capaci di divorare anche esseri umani: esse lo facevano solo per istinto, non per odio e mai nei confronti di altre creature della propria specie, al contrario di quanto fecero, invece, i fratelli di Giuseppe.
D’altronde l’esistenza di bestie feroci era così nota che Giacobbe non ebbe motivo per non credere alla versione dei figli: vedendo la veste di Giuseppe macchiata di sangue, Giacobbe forse immaginò la scena di qualche animale affamato che assaliva il giovane e che lo sbranava senza lasciare alcuna traccia, se non quella veste a lui tanto cara.
• Un altro brano descrittivo lo troviamo in 1Samuele:
“Il Filisteo disse a Davide: «Vieni qua, e darò la tua carne in pasto agli uccelli del cielo e alle bestie dei campi»…(Davide rispose:) «Oggi il Signore ti darà nelle mie mani e io ti abbatterò; ti taglierò la testa, e darò oggi stesso i cadaveri dell'esercito dei Filistei in pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra»” (1Sa 17:44, 46).
Il giovane Davide sta per affrontare il gigante Golia, senza armatura e senza armi convenzionali ma solo con una fionda, cinque pietre e con tanta fede in Dio. Entrambi vogliono vincere e, per motivi assai diversi, sono sicuri di farcela, per cui sia Davide che Golia si scambiano reciprocamente una tipica maledizione usata in quei tempi. È evidente che, anche ai tempi di Davide, era scontato assistere al triste spettacolo di uccelli del cielo e di bestie della terra che si nutrivano dei cadaveri di soldati uccisi. Se questa realtà faceva parte di una maledizione così violenta, vuol dire che si trattava di un’offesa molto umiliante, che peraltro faceva intravedere una fine vergognosa.
Più avanti troviamo una testimonianza simile:
“Rispa, figlia di Aia, prese un cilicio, lo stese sulla roccia e stette là dal principio della mietitura fino a che l'acqua non cadde dal cielo sui cadaveri; lei impedì agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di avvicinarsi di notte” (2Sa 21:10).
Il re Davide, ormai anziano e sazio di giorni, dovette pagare un debito di sangue che il precedente re Saul aveva posto sopra Israele a favore dei Gabaoniti (21:1-3), per cui due figli e cinque nipoti dello stesso Saul furono impiccati (vv. 4-9). La mamma dei primi due, però, rifiutò di abbandonare i corpi dei propri figli alle scorrerie dei predatori dell’aria e della terra, e vi fece guardia sia di giorno che di notte, mostrando un amore e un’abnegazione che solo in una mamma si possono trovare.
Al di là delle possibili considerazioni in merito al fatto in sé, vediamo qui confermato il dato secondo cui gli atti di predoneria degli animali selvatici non facevano soltanto parte di formule di maledizione, ma si realizzavano davvero nella vita quotidiana ed avvenivano in qualunque momento del giorno e della notte, costituendo motivo di vergogna per la persona morta.
• Un altro testo esprime una più specifica caratteristica “negativa” degli animali:
“Il resto di Giacobbe sarà fra le nazioni, in mezzo a molti popoli, come un leone tra gli animali della foresta, come un leoncello fra le greggi di pecore, che, quando passa, calpesta e sbrana, e nessuno può liberare” (Mi 5:7).
Michea è profeta del giudizio divino contro i peccati d’Israele ma anche della gloria futura del popolo (cap. 4), e si è occupato anche di predizioni sul Messia e sul suo regno a venire (cap. 5). In questo contesto, Michea profetizza anche che “il resto di Giacobbe” sarà una benedizione fra le nazioni (5:6) ed anche uno strumento del giudizio divino (v. 7-8), ponendo un efficace paragone con il leone e con il leoncello, da un lato, e con un gregge di pecore, dall’altro (v. 7).
Il leone fornisce un’idea di potenza e di autorità, ha un modo inesorabile di braccare e di divorare la sua preda; in lui si coniugano perfettamente un grande coraggio ed una forza straordinaria. Nessuno può liberare dalle sue fauci una qualsiasi bestia che ne sia rimasta vittima e stia per essere sbranata.
• Nel libro di Giobbe leggiamo:
“…egli dimentica che un piede le potrà schiacciare, che le bestie dei campi le potranno calpestare” (Gb 39:15).
Dopo tanti discorsi umani, più o meno saggi, il Signore stesso interviene e si rivolge a Giobbe “dal seno della tempesta” (38:1), mostrandogli le meraviglie della sua creazione, fra cui alcuni animali come la capra e il cervo (39:1-4), l’onagro e l’asino (vv. 5-8), il bufalo e lo struzzo (vv. 9-18). Di quest’ultimo, in particolare, il Signore afferma che è stato creato privo di saggezza (v. 17) e che lascia le sue uova a terra senza pensare che il piede di un passante potrebbe schiacciarle o anche le “bestie dei campi” potrebbero calpestarle.
Che differenza con le amorevoli cicogne (v. 13) oppure anche con i passeri e le rondini che depongono le loro uova in nidi ben protetti (cfr. Sl 84:3)! In questo passo vediamo tutta la fantasia del Creatore, ma anche la sua cura perché, malgrado questa stoltezza, di struzzi ne nascono ogni giorno e le loro uova non vanno perse!
• Un altro brano biblico espone le caratteristiche “negative” degli animali:
“La mia eredità è stata per me come l'uccello rapace screziato; gli uccelli rapaci si gettano contro di lei da ogni parte. Andate, radunate tutte le bestie della campagna, fatele venire a divorare!...” (Gr 12:9).
Il Pastore d’Israele sta assistendo con grande tristezza alla desolazione della sua “eredità” (12:7-8), conseguenza del peccato, ed è significativo che, in tale ambito, ancora una volta si parli di uccelli predatori del cielo e di bestie feroci predatrici della terra (cfr. anche Is 26:9).
In particolare, notiamo come “gli uccelli rapaci” simboleggino qui le nazioni pagane, che si stavano lanciando contro “l’uccello rapace screziato” il quale, a causa dei suoi strani colori, non poteva essere considerato uno di loro. Israele, in altre parole, era un “uccello rapace” divenuto immondo per Dio a causa dei suoi peccati, ma allo stesso tempo era “screziato” e non era considerato nel novero delle nazioni pagane, malgrado le sue idolatrie e le sue superstizioni lo avessero reso più simile a questi popoli… che però ora venivano usati da Dio per attaccare Israele stesso!
• Infine ancora un riferimento al nostro tema:
“Io – dice il Signore – manderò contro di loro quattro specie di flagelli: la spada, per ucciderli;
i cani, per trascinarli; gli uccelli del cielo e le bestie della terra, per divorarli e per distruggerli” (Gr 15:3).
In questo caso si parla del giudizio di Dio, ormai ineluttabile contro Israele, che si realizzerà con quattro specie di terribili flagelli, tre dei quali rappresentati da animali.
Era orrendo e vergognoso per un guerriero israelita sapere che sarebbe stato trascinato da un animale immondo come il cane, per poi essere sbranato da animali predatori della terra o del cielo, feroci e spietati!

“Bestie” e “bestiame”
Prima di concludere quest’articolo, dedicato agli animali come parte della creazione di Dio, non possiamo non esaminare la principale differenza, già più volte accennata, che riscontriamo nella Bibbia fra “animali selvaggi” ed “animali domestici”, ossia fra “bestie” e “bestiame”.
La parola “bestia”, nella Scrittura, spesso distingue semplicemente gli animali dagli esseri umani (es. Ec 3:18-21) oppure distingue il bestiame dai rettili (es. Ge 1:24). Altre volte, invece è posta a distinzione fra gli animali addomesticati o addomesticabili, da un lato, e quelli che invece vivono allo stato brado e sono ritenuti, pertanto, selvatici e talvolta anche pericolosi (es. Le 26:22).
Per “animali domestici”, in particolare, non dobbiamo intendere i nostri attuali gattini da appartamento, quanto piuttosto tutti quegli animali di varia taglia (es. cavalli, asini, pecore e buoi) che per la loro sopravvivenza dipendono dall’alimentazione fornita dai loro padroni umani. Questi animali, quasi sempre inclusi nella categoria del “bestiame”, erano anche tutelati dalla Legge di Dio in quanto proprietà privata dei loro padroni (es. Es 22:10), estendendosi a loro anche le norme sul riposo sabbatico (es. Dt 5:14) e quelle sulla primogenitura (es. Nu 3:13), oltre ad essere destinatarie di atti di giudizio divino che avrebbero colpito i loro padroni
(es. Gr 7:20).

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