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Razionale del Festival di Bioetica 2020 (quarta edizione, Santa Margherita Ligure, 27/28 agosto 2020

Tema di questa edizione

LA CURA
uomo, ambiente, animali

L’epidemia del coronavirus è stata definita la prima emergenza globale che vive il mondo dopo la rivoluzione digitale. Avendo scatenato paure tanto profonde potrebbe anche essere l’occasione di riflettere su tutto quello che sta cambiando sotto i nostri occhi. In una società come la nostra ancora dominata dalla categoria del rischio, nel duplice senso che lo produce e se ne difende, la paura del contagio e il timore di una contaminazione generalizzata hanno sovente generato effetti distruttivi, originando comportamenti che hanno portato alla stigmatizzazione di singoli individui o di fasce intere di popolazione. Non solo. Le modalità stesse in cui sono stati presentati i rischi hanno talora rappresentato più una riflessione sulle proprie ansie e sulla propria impotenza ad agire che una maniera utile di pensare a come si dovrebbe procedere per assicurare una più grande protezione al nostro mondo.

Ma è possibile superare il modello dominante della società del rischio? Come potremmo affrontare le sfide che ci attendono? A quale modello alternativo potremmo riferirci? A questo interrogativo intende rispondere il Festival di Bioetica 2020 configurando un modello di società ispirato alla cura. La visione antropologica su cui si fonda quella che potremmo chiamare una Democrazia della Cura si riferisce infatti a soggetti che lavorano in relazione con altri e la cui autonomia emerge attraverso un processo complesso di crescita e di sviluppo che prevede la consapevolezza della reciproca interdipendenza. Decisivo è qui il riconoscimento della comune vulnerabilità, da intendersi come una condizione strutturale della vita umana che ne sottolinea la fragilità e quindi il bisogno condiviso e reciproco di cura. Per questo sembra giunto il momento di chiederci se il trauma collettivo della pandemia non abbia attivato anche comportamenti positivi, contribuendo, ad esempio, a suscitare sentimenti solidali e altruistici che negli ultimi decenni erano stati trascurati, se non smarriti. Sappiamo che taluni eventi che irrompono drammaticamente nelle nostre vite, come la minaccia incombente di un pericolo che ci coinvolge tutti o l’esposizione ad un rischio da cui nessuno può sentirsi esente, possono contribuire a farci riconoscere la nostra costitutiva fragilità e, insieme, la nostra appartenenza a una comunità di destino. Ecco che l’attenzione può divenire un elemento fondamentale del prendersi cura e generare effetti costruttivi: solidarietà, empatia, apertura al vissuto delle persone col loro carico di sofferenze. Un “prendersi cura”, occorre aggiungere, che significhi anche guardare al mondo animale in termini di etica della responsabilità. L’alterazione degli ecosistemi e la sottrazione di habitat naturali alle specie selvatiche hanno favorito il diffondersi di patogeni prima sconosciuti. Che cosa evoca lo spillover? Non significa forse che abbiamo alterato equilibri, modificato rapporti, dimenticato sia le regole più elementari della prudenza sia le norme di rispetto che dovrebbero governare i nostri rapporti con le altre specie? Oggi si tratta di prevenire l’insorgenza di ulteriori zoonosi nella consapevolezza che la salute è globale: siamo elementi di un ecosistema in cui la salute di ogni elemento - umano, animale, ambientale - è strettamente interdipendente da quella degli altri.
Per questo dovremmo pensare a un approccio integrato e parlare di una “salute circolare” (One Health). Mi sembra molto significativo, a questo riguardo, che nell’enciclica Laudato sì si ricordi che “non ci sono due crisi separate, una ambientale e l’altra sociale, bensì una sola complessa crisi socio-ambientale” la cui soluzione richiede un approccio integrale. In tale visione la sfida posta alla bioetica dalla catastrofe della pandemia dovrebbe essere l’elaborazione di un’etica della responsabilità su scala mondiale come sola adeguata ad affrontare i problemi cruciali di sopravvivenza per un’umanità intesa ormai come una comunità di destino.
Occorre infine aggiungere che elevare l’etica della cura a ideale politico potrebbe rimodellare significativamente le pratiche della cittadinanza democratica. La visione corrente del lavoro di cura come attività socialmente svalutata e, insieme, espressione di una moralità essenzialmente femminile, è infatti all’origine di diseguaglianze fondamentali nella distribuzione del potere, laddove una società autenticamente democratica, per garantire l’effettiva eguaglianza di tutti i cittadini, dovrebbe riconoscere il valore etico e sociale della cura, ponendolo al centro della teoria e della pratica politica. Si potrebbe pertanto affermare che se la cura ha bisogno della democrazia, per evitare ogni deriva paternalistica o particolaristica, la democrazia, a sua volta, per essere davvero inclusiva e trattare ogni persona con eguale considerazione e rispetto, ha bisogno della cura: da qui l’esigenza di creare uno spazio morale e politico in cui elaborare una cultura civile della responsabilità. Ma non è questa, a ben riflettere, la radice virtuosa della democrazia? Forse l’educazione alla cittadinanza di cui abbiamo tanto parlato, senza mai riuscire a darne una convincente definizione, potrebbe cominciare proprio da qui.

La IV edizione del Festival di Bioetica avrà la durata di due giorni (27/28 agosto). Hanno già garantito la loro partecipazione con loro esperti Unesco Chair in Bioethics Biogem Università degli Studi di Genova Ecoistituto Re- Ge. È stato richiesto il patrocinio al Comitato Nazionale per la Bioetica, Regione Liguria, Comune di Genova e Città Metropolitana, Istituto di Tecnologie Avanzate, Scuola di Robotica.

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