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di Tiziana Bartolini

Né angeli né eroi, ma professionisti: un lavoro importante e rivalutato grazie ai media che lo raccontano nella sua quotidianità. Intervista a Ivana Carpanelli

Continua il ciclo* di conversazioni realizzate insieme all'Istituto Italiano di bioetica e questa volta dialoghiamo con Ivana Carpanelli, il cui percorso professionale si è sviluppato nell'ambito della professione infermieristica e nella relativa formazione. In queste settimane di emergenza per il picco dell'epidemia, a infermieri e infermiere sono dedicate poesie, inni, cartelli e gigantografie. Insieme ai medici sono osannati, Sembra quasi una generale riscoperta di una professione non particolarmente amata o ambita.
*Le altre interviste sono centrate su: il prendersi cura, la globalizzazione, la morte, Scienza: fidarsi/affidarsi; Salute/economia

Partendo dalla consapevolezza di chi, come lei, ha del lavoro che infermieri e infermiere svolgono, che tipo di assistenza offrono ai ricoverati per Covid-19? Quanto è importante per i medici averli al fianco?
La sanità è una organizzazione complessa che, per funzionare, ha bisogno di medici e di infermieri, di tecnici sanitari, di operatori spcop sanitari e anche di lavoratori addetti alle pulizie, alle mense, alle lavanderie, ai centralini, alla logistica, degli amministrativi, dei tecnici; e ne ha bisogno sempre, anche in tempo di coronavirus. Nessuno può svolgere il proprio lavoro a prescindere dal lavoro dell’altro. Quello che in questo tempo fa la differenza è l’accresciuta “condivisione del peso” tra operatori, siano essi appartenenti allo stesso profilo professionale oppure diversi; una condivisione che nasce anche e soprattutto dall’innato senso di sopravvivenza dell’uomo; solo eliminando le sovrastrutture e rimandando a dopo le giuste recriminazioni e la presa in carico della propria sofferenza è possibile salvarsi, fisicamente ed emotivamente.
Quindi, per rispondere alla domanda posso dire che è importante per medici e infermieri, tecnici e altri operatori sapere di non essere soli e di poter contare gli uni sugli altri, concretamente e spiritualmente.
L’assistenza che infermieri e infermiere offrono in questa particolare situazione è di vario tipo: interagiscono con i medici nella cura fisica dei pazienti in isolamento, nelle terapie intensive, nei reparti a media intensità di cure e nel monitoraggio delle persone positive in quarantena domiciliare, hanno poi un ruolo determinante nel supporto emotivo dei pazienti ricoverati ai quali il coronavirus impedisce i contatti con le persone che amano e sono prevalentemente loro quelli che tengono informati i familiari dei pazienti. Le competenze infermieristiche nella relazione d’aiuto e nel supporto emotivo sono determinanti e, ancor più di quanto avviene in tempi normali, in questo periodo è fondamentale il ruolo di coordinamento all’interno del gruppo terapeutico che, nella maggior parte dei casi, è svolto dal personale infermieristico.

Perchè a suo parere in tanti anni di lavoro la professione infermieristica non è riuscita a conquistare la dignità che merità nell'ambito dell'assistenza sanitaria?
Credo che in parte sia dovuto alla visione ancillare della professione infermieristica in relazione a quella medica, forte soprattutto nei decenni passati dove predominava una concezione paternalistica della medicina e una idea subalterna della donna rispetto all’uomo nella società. Oggi, gradatamente, le cose stanno cambiando, perché la concezione di salute e l’organizzazione della cura sono cambiate, perché gli infermieri sono consapevoli del loro ruolo ed anche perché oggi infermieri e medici si trovano stretti fra le decisioni dei vertici aziendali e i bisogni dell’utenza e diventa ancor più impellente fare squadra, per rispondere al mandato delle professioni che si è scelto di svolgere. Tutte le professioni sanitarie oggi hanno alle spalle un curriculum formativo di livello universitario e questo consente una formazione di partenza ed un linguaggio che sono comuni, una più ampia consapevolezza di ciascuno sul proprio ruolo, la conoscenza degli altri ruoli e quindi la possibilità di mettere a fuoco decisioni e scelte che tengano conto della complessità della cura nella attuale organizzazione della sanità.

Osservando questa emergenza da un punto di vista etico, quali sono le sue osservazioni?
La salute non è una merce che si vende o si monetizza. La salute dell’uomo non può prescindere dal rispetto del suo ambiente di vita e di tutti gli altri viventi, ed occorre che questo rispetto sia considerato anche dal sistema economico e sociale. Spero che questa epidemia possa promuovere negli infermieri e nei medici la consapevolezza di quanto sia importante fare fronte comune per riorganizzare un sistema sanitario che risponda a quanto previsto dalla Costituzione e, in tutti i cittadini, a tutti i livelli, quanto sia indispensabile garantire buone condizioni di lavoro dei professionisti, al di là dell’interesse particolare di una categoria professionale, per la tutela della salute di tutti.

Come si pone l'infermiere/a nei confronti della malattia grave e della persona malata?
Gli infermieri hanno la responsabilità dell’assistenza al paziente e il compito di aiutarlo e sostenerlo di fronte alla malattia, alla sofferenza e anche alla morte. A volte purtroppo si trovano, per scarsità di risorse, a non avere il tempo necessario per rispondere in modo professionalmente e umanamente adeguato.
Oggi i cittadini capisono perché vedono, attraverso i media, l’inferno nel quale medici e infermieri sono costretti a lavorare per arginare il contagio.
L’emergenza coronavirus ha drammaticamente sottolineato la scelleratezza delle decisoni politiche degli ultimi decenni, che hanno sistematicamente impoverito il sistema sanitario nazionale e reso difficili e a volte inaccessibili le cure a chi ne ha bisogno.
Fino a uno o due mesi fa, gli effetti dei cambiamenti negativi del sistema sanitario provocavano giuste lamentele, gli utenti si indispettivano, esigendo risposte da chi non poteva più soddisfarle e i modi di difendersi si manifestavano nelle forme più diverse, incalzati dai media e da campagne denigratorie. Oggi infermieri e medici sono diventati “angeli ed eroi” che vivono nell’inferno dei reparti Covid. Auguriamoci che questo dramma possa almeno servire a donne e uomini, che non sono angeli né eroi, ma professionisti, di poter lavorare meglio, di non essere di fronte al malato il capro espiatorio verso il quale egli può riversare la sua rabbia e la sua sofferenza per un’assistenza che sempre peggio si fa carico delle sue esigenze.

Questa intervista è stata pubblicata anche in noidonne.org

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